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La nuova amministrazione gentile italiana

141 ASSESSORI ALLA GENTILEZZA PER UN PAESE ACCORTO ALLE DEBOLEZZE SOCIALI

da Sabina Aversa
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Avevo letto casualmente, come spesso mi capita, di Mirka Pellizzaro, assessore di un piccolo comune veneto, Montebello Vicentino, a cui per la prima volta era stata conferita dal sindaco la nomina di assessore alla gentilezza.

Titoli di giornali datati al febbraio di quest’anno riportavano a caratteri cubitali la inusuale notizia di cronaca.

Mirka, una donna della giunta a cui erano già state date le deleghe all’istruzione, al sociale, alle politiche giovanili, e alla parità di genere adesso veniva apostrofata con una carica che sembrava  uscita da una favola, da una irreale storia di fantascienza.

Mi sono chiesta: cosa sarà questa trovata pubblicitaria? Cosa potrà mai fare un assessore alla gentilezza? Intervenire per sedare gli animi durante una contestazione? Per favore, signore, la paga questa multa? Lo faccia per me!

O applaudire ad un cittadino che con senso civico si adopera a raccogliere deiezioni canine? O cosa altro? La carica in sé avrebbe milioni di applicazioni ma, in realtà, nasce in un tempo più lontano.

Infatti se attualmente sono oltre 200 i comuni italiani che hanno permesso di istituzionalizzare un assessorato alla gentilezza, tutto ciò fa seguito ad un percorso che ha inizio addirittura nel 2019 circa.

Stiamo parlando del risultato di un progetto ideato dall’associazione torinese Cor et amor, che col progetto Costruiamo gentilezza ha dato il via a queste deleghe ad hoc.

Gentilezza, questa grande sconosciuta…

È la stessa associazione che prendendo a modello grandi persone come Adriano Olivetti, o Antoine de Saint Exupéry autore del Piccolo Principe, o Piero Ferrucci, psicoterapeuta autore di “La forza della gentilezza”.

Da ricordare anche Antanas Mockus, sindaco di Bogotà che ha gestito il ruolo pubblico facendo ricorso anche all’arte, alla pedagogia e alla creatività, ha inizializzato ed attualizzato i modi gentili.

Dare risalto sociale e politico alla gentilezza significa dare rispetto anche alla forma, nel dialogo e nei modi, significa trasmettere empaticamente ed avere indietro comprensione, condivisione di ciò che si chiede anche con un minor sforzo espositivo.

Chi è assessore alla gentilezza si occupa anche di buona educazione, di salvaguardia delle categorie più fragili, di integrazione, di diffusione delle pratiche gentili tra la comunità.

E caspita se serve qualcuno che se ne occupa, eppure credo che ancora in pochi, troppo pochi, erano al corrente di un simile incarico.

La notizia ha attratto la mia attenzione anche perché la gentilezza guarda caso, è una delle 24 potenzialità di coaching, quelle sottocategorie delle 6 principali virtù riconoscibili nella fetta di umanità che vive in maniera appagante.

La gentilezza appartiene alla virtù dell’amore, è un messaggio potente, sempre meno diffuso, e da praticare senza alcun interesse. 

Essere spettatore di un gesto gentile è quanto mai in disuso, eppure quando accade il gesto acquista una preponderanza che va oltre chi lo fa in prima persona, coinvolge stupefatto chi lo riceve e chi vi assiste casualmente.

gentilezza.assessorato
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Suvvia, la gentilezza non è roba da donnicciuole, non è femmina, appartiene a chiunque le dia un segnale di assenso.

Ma per essere gentili ci vuole innanzitutto tempo, tempo per rallentare, per essere consapevole che usare modi garbati e misurati può avere un eco di bene.

L’assessore Mirka Pellizzaro, ha l’ambizione di fermare le baby gang e i bulli esaltando la gentilezza come forma di intelligenza.

È vero, essere gentili è un atto di intelligenza, servirà tanto lavoro e continuità di intenti per reintrodurre nel quotidiano la gentilezza come forza e non segno di debolezza.

Lasciare il passo ad altri, ricostruire un linguaggio adeguato per potersi esprimere senza che i toni diventino arroganza, ritrovare l’eleganza di modi e il sorriso, potrebbero diventare i nuovi segni della generazione futura.

Non si soccombe ad altrui volontà se non si ingaggia una lite, la gestualità pacata non serve a dire “mi arrendo”, ma parliamone. Il ritmo del quotidiano dovrebbe lasciarci il tempo di fare tutto ciò, anzi dovremmo prendercelo a piene mani.

E il fatto che proliferino i corsi di tai chi, o di yoga, o di mindfulness nei parchi cittadini lascia ben pensare ad una rinnovata ricerca di tempo, di ore per se stessi, di minuti preziosi in cui poter condividere in gruppo rallentamenti agognati e consapevolezze di movimenti che hanno poco a che fare col multitasking a cui una società superficiale e frettolosa ci ha condannato.

Non abbiamo le competenze per sapere fare tutto, ma abbiamo l’innata capacità di curare il nostro io, di relazionarci, di auto superarci in un percorso che non deve inghiottirci, ma stimolarci ad essere gentili con noi stessi, questo prima di tutto.

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