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Dantedì: il giorno di un poeta ancora vivo

IL VIAGGIO DI DANTE ALIGHIERI

da Alessio De Paolis
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Dante Alighieri

L’unica altra parola viva che, qui in Occidente, conosciamo come alternativa alla Bibbia, è la sua.

Non per mera reverenzialità o perché sentiamo quella lingua nella bocca del pendolare vicino a noi in fermata, ma perché Durante di Alighiero degli Alighieri – per gli amici Dante – più che parlare ai suoi contemporanei, sussurrava a noi.

Trasversale tra le classi sociali che non conoscono inferno, purgatorio o paradiso guadagnato con un bacio sulla bocca tremante o col pagamento di un’indulgenza, forse neppure lui immaginava che, mentre si inabissava nei cerchi degli inferi, stava attraversando anche il tempo.

Quel cor gentil…

Inutile non prestare attenzione, inutile dormire sui banchi di scuola o assentarsi per sfuggire a quel veloce sguardo dato a una parafrasi che almeno una volta ci ha toccato il cuore.

Dante Alighieri ci ha fatto scoprire la nostra storia, ma anche un’altra cosa: che quel cor gentil, che ratto s’apprende agli endecasillabi, lo abbiamo anche noi, che fingiamo che la poesia non ci interessi o che custodiamo gelosamente il nostro lato più intimo.

Ecco perché Alessandro Barbero, che è uno tra i suoi cantori, critica la statua dedicata al Poeta che oggi osserviamo a Firenze, in Piazza Santa Croce.

Magistralmente scolpita da Enrico Pazzi, ci osserva con fare severo, coprendosi il corpo con la veste quasi con sdegno, per noi che moriremo molto prima della fine della sua fama.

È così che noi tutti ci immaginiamo al cospetto del padre dell’italiano: impotenti, subalterni, mortificati. Come stride però, quella statua e quel racconto, col Poeta che corre in camera sua perché Beatrice ha negato il saluto.

Come stona col cantore costretto a “viziare” i versi con Farinata degli Uberti per darsi la patente di guelfo bianco e tornare finalmente a casa, quella Firenze da cui i guelfi “neri” lo avevano esiliato.

Scagli la prima pietra chi di noi non ha mai versato lacrime amare per un amore acerbo e ideale, possibile in un paradiso terrestre in cui puoi solo venire cacciato prima di scoprire quello che move il sole e l’altre stelle.

Alzi la mano chi poi per questo non è stato canzonato. Come Dante, sì, a cui fu detto di placarsi dai poeti coi quali scambiava sonetti (placarsi è un eufemismo).

L’esser fragili, un atto di forza

Anni luce avanti in un’epoca nella quale – al contrario di come suggeriscono i pregiudizi – c’era grande rigore per la logica e la razionalità, non ha mai avuto timore di raccontarsi fragile davanti ad Amore, un essere mostruoso che stringe Beatrice quasi a minacciarlo: “Sono io il tuo padrone”.

Ma il coraggio del Poeta è stato anche quello che non abbiamo noi oggi.

Perché guardare in faccia le volgarità dei diavoli e la solennità dei santi con l’onestà di Durante di Alighiero è un miraggio in un’epoca in cui la marmaglia infernale di informazioni ci fa innamorare di quello che pensiamo, spingendoci lontano dalla realtà oggettiva con la forza dei venti che tormentano Paolo e Francesca.

E forse non per una coincidenza quest’anno il Dantedì sorge nella settimana santa, quella in cui Dante inizia il suo cammino verso l’altro mondo, per descrivere magistralmente il nostro.

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