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Un algoritmo può rimanere da solo?

NUOVE FORME DI CENSURA

da Alessio De Paolis
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Un algoritmo può rimanere da solo

Un algoritmo può avere idee politiche? È questa la domanda a cui cerchiamo di rispondere stavolta, essenzialmente per un fatto scatenante. Già, perché pare che su Youtube dopo la “N” word stia prendendo piede la “I” word.

Confusi? È normale, ora ci arriviamo. È bene però chiarire, prima di venire al punto, che non ci si dovrebbe dividere su quanto stiamo per approfondire. Non nel Paese della democrazia e derivati.

Non dopo aver appena festeggiato resistenza e liberazione. Ma veniamo al dunque, da alcuni giorni su alcuni canali YouTube sta accadendo un fatto bizzarro: perché ce ne occupiamo qui sarà chiaro a breve.

Diversi creator, guardando nella loro sezione commenti, hanno trovato alcuni video senza alcuna interazione. Una notizia di poco conto? Niente affatto.

Se infatti si va ad approfondire la questione, assume contorni sempre più inquietanti.

Se alcuni follower hanno voluto essere più realisti del re, insinuando che i commenti sotto questi video fossero stati disattivati dai creator stessi, l’ipotesi si è frettolosamente spenta dal momento che molti di loro – fruitori di YouTube Italia – hanno subito smentito di aver disattivato le loro stesse interazioni.

Sarebbe controproducente, sconveniente, illogico. È vero, in molti casi il materiale controverso trattato spinge chi carica video a disattivare i commenti in modo coatto, aspettandosi di venire insultati: la possibilità c’è e viene utilizzata anche spesso, ma stavolta è il grande manovratore (l’algoritmo) ad aver agito autonomamente.

Algoritmi e potere smisurato?

E si farebbe anche presto a liquidare la questione: “è risaputo”, “succede a tutti”, o come si direbbe a Roma, “a chi tocca n’se ngrugna”. Sarebbe così se chi viene censurato dall’algoritmo nella sezione commenti (e quindi depotenziato nelle views dei video) non sembrasse preso di mira in modo selezionato.

algoritmo
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Da cosa lo deduciamo? Ovviamente dall’argomento trattato e da quale posizione tali canali sostengano.

L’ultima a protestare sul suo feed è Paola Ceccantoni, in arte “Pubble”; simili al suo per grandezza e stile altri canali, come quello di Alessandro Di Battista, che hanno riscontrato lo stesso problema: sezione commenti vuota, ma solo in alcuni video.

Ma cosa si trattava di tanto scabroso in questi video?

Della stessa materia scabrosa per cui in Rai si sono interrotte trasmissioni e si sono fatti comunicati per correggere il tiro di un messaggio tanto attuale quanto pericoloso: quello che banalmente legge al microfono di un palco non banale come l’Ariston uno “stop the war” su cui pure siamo stati in grado di dividerci.

Insomma, la “I” word innominabile, dopo alcuni riscontri fatti anche da noi in prima persona, è quella di Israele.

Noi chiaramente riduciamo all’osso per semplificare il più possibile: spesso quelle censurate su YouTube, ma anche su altri player, sono analisi, punti di vista, opinioni.

E sì, usiamo il termine censura perché ribattere col fatto che comunque il materiale è visibile e si trova ancora lì è un insulto all’intelligenza di chi vive nel 2024.

Le forme di censura utilizzate sui social network sono ormai diventate raffinate e disparate, da quella economica che pone un muro di fronte alla possibilità di avere un bacino di pubblico nazionale, a quella “morbida”, altresì detta shadowban: un metodo con cui il censurato può pubblicare tutto ciò che vuole, col piccolo dettaglio che dall’altra parte nessuno riceverà il messaggio, perché a nessuno appare.

Poi c’è quest’ultimo caso, quello della censura “per engagement”: i commenti generano traffico, il traffico genera visualizzazioni e aumenta la possibilità che l’algoritmo mostri il video nella home dei possibili interessati.

Rimuovendo le interazioni nella sezione commenti il gioco è fatto.

E qui veniamo al burattinaio. In molti infatti potrebbero ribattere in modo semplice, ma fuorviante: “L’algoritmo ha ricevuto un ordine, ma poi agisce in autonomia”.

Intanto sottolineiamo la contraddittorietà, visto che se uno strumento – l’algoritmo in tal caso – riceve un ordine, di per sé non è autonomo. Non ha un fine, ma è solo un mezzo.

Algoritmo e fatti: quale connessione?

E poi ci sono anche i fatti, perché gli algoritmi, soprattutto quelli dei social, agiscono per induzione, non in autonomia. Per chiudere la questione, in molte interviste legate al periodo del Covid Mark Zuckerberg, patron di Meta, ha parlato apertamente di “aver rimesso mano” all’algoritmo dopo alcune sentenze sulla libertà d’espressione o, nel peggiore dei casi (vedasi Twitter Files) dopo alcune ingerenze dell’FBI.

C’è sempre l’uomo dunque a “drogare” questo gran bluff che è la democrazia sui social network.

Quale interesse ci sia nel limitare anche di poco la visibilità di alcune decine di creator dal seguito insignificante rispetto ai mezzi tradizionali, non lo sappiamo.

Sappiamo solo ciò che avviene, e quello che avviene oggi è che “certi” canali dalle posizioni più “conformi” alla politica europea e americana sulla guerra in Medioriente, da tali artifici non sono toccati.

Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

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