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Tempio di Ise, il caso davvero curioso

COME I GIAPPONESI BOICOTTANO IL PASSARE DEL TEMPO

da Sabina Aversa
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TEMPIO ISE

Passeggiare per Roma costituisce da sempre una emozione unica.

Le antiche vestigia, i Fori imperiali, il Colosseo, i resti di largo Argentina, luogo dove, si narra, venne ucciso Giulio Cesare ci fanno rivivere gli antichi fasti dell’Impero Romano perpetrando la sua gloria, la grandezza del suo potere e l’eternità delle vicende che la resero grande. 

L’eternitá, un concetto senza fine, un rimando irrinunciabile. Irrinunciabile, non per tutti.

Tempio di Ise

In Giappone poco distante da Tokyo esiste un tempio, intitolato a Ise, che dal 690 d.C. ogni venti anni viene raso al suolo e ricostruito con identica forma e con, inutile dirlo, grande impegno di materiali e capitali.

Perché? Perché per i giapponesi il concetto di eterno non vuole dire costruire per sempre, ma costruire sempre, dar voce a una fase in cui distruzione e ricostruzione si perpetuano negli anni, e diventano lezione di vita.

Avviene, infatti, che i giovani arrivano al tempio a venti anni, vedono come si costruisce, a quaranta lo ricostruiscono e rimangono a spiegarlo ai nuovi giovani.

É la metafora della vita. Impari, fai, insegni. Una staffetta continua che nel suo dinamismo rende attuale e vivo il concetto di eterno, di una forma che si perpetua pur in nome di un rinnovamento uguale a se stesso. 

Non sono le forme a cambiare, ma chi le innalza; sono le giovani forze che si mettono a confronto con le lezioni del passato, che si ha,comunque, il coraggio di distruggere.

É un tacito accoglimento della transitorietà di tutte le cose, che muoiono e si rinnovano. In Giappone il termine wabi-sabi corrisponde a una visione del mondo fondata sulla impermanenza delle cose.

Quanto di più lontano dal nostro abituale pensiero?

Quante volte vedendo giocare i nostri figli con le costruzioni colorate e apprezzandone le torri sottili costruite a fatica, abbiamo cercato di fermare quelle manine imprevedibili che ne hanno schiacciato le esili forme?.

“Noooo, perché lo hai distrutto?” “E adesso, dobbiamo ricostruirlo tutto daccapo!” disse affranta la mamma al bimbo spaventato dai rimproveri come avesse demolito architetture mai più replicabili.

TEMPIO DI ISE, MA COSA C’E’ DIETRO? 

Come siamo statici nei nostri pensieri, e quanto li trasmettiamo ai nostri figli.

Cose, suppellettili, oggetti indistruttibili rappresentano sicurezza, tradizione, permanenza.

Quelle stesse cose che sopravvivono e che qualcuno prima o poi giudicherà inutili e distruggerá senza lasciare la minima traccia.

Immaginiamo di distruggere e ricostruire un monumento antico della nostra bella Italia, impossibile pensare di misurarsi con tecniche di un tempo e tempi di lavoro contenuti come quelli giapponesi.

Altra cultura, altro pensiero. Per noi un monumento porta con sé la personalizzazione di chi ci ha messo le mani per primo, di chi lo ha ammirato in abiti rinascimentali, di chi lo ha difeso da guerre e bombardamenti, di chi lo ha vissuto in tempi inimmaginabili perché storicamente lontani, eppure così vicini nelle tracce materiali lasciate ai posteri.

Sarebbe bello però che la lezione del passato uscisse dai libri di scuola e diventasse parola, racconto, aneddoto trasmesso da padre in figlio.

Sarebbe bello che lo sforzo di mettersi alla prova diventasse modello di vita per farsi vedere all’opera dai propri figli e segnare in qualche modo il tempo.

Questo tempo che pensiamo di avere a valanga ma che ci manca nelle cose più vere. In fin dei conti l’eternitá, per mia personale e modestissima opinione, è perpetrare qualcosa e quel qualcosa in Giappone raggiunge in maniera viva le nuove generazioni.

Le coinvolge, le rende parte attiva di una lezione importantissima: la capacità di mettersi al servizio del fare, per sé stessi, per chi verrà dopo, per quella potenzialità bella e sana che l’essere umano ha di darsi in nome di una lezione di vita comune in cui le forme del passato suggeriscono il tempo. 

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