L’ambivalenza del rapporto tra cibo e piacere è un tema sempre attuale, che riflette la contrapposizione tra piacere, conoscenza e intelligenza e trova riscontro anche nella nostra esperienza quotidiana. Per molte persone, il piacere legato al cibo è vissuto in modo ambiguo, con una serie di alti e bassi, tra momenti di euforia e altri dominati dal senso di colpa, spesso influenzati dalla cultura diffusa dal cristianesimo. Riflettendo sull’ambivalenza con cui le persone si approcciano al cibo, emerge il pensiero del filosofo francese Du Bos e quello del tedesco Kant.
Du Bos sosteneva che un piacere come quello provocato dal cibo può essere sperimentato da tutti, avvalorando così l’estetica del gusto come esperienza e relazione. Il gusto sarebbe in grado di guidare l’essere umano in una valutazione estetica finalizzata al riconoscimento del bello e del buono. Questo percorso può condurre all’autenticità dell’essere, in quanto è libero da preconcetti conoscitivi.
Kant, al contrario, seguiva un’altra posizione secondo cui natura e cultura appartengono a sfere diverse e vi è una netta divisione tra godimento sensibile e piacere estetico. Il piacere fisico sarebbe un’esperienza individuale, mentre quello estetico richiama un sentimento umano comune e universale, una specifica facoltà definita “capacità di giudizio” che esclude sensibilità e intelletto. La teoria che collega l’estetica del gusto al principio dell’esperienza e della relazione trova sostegno in Perullo, il quale richiama un frammento attribuito ad Epicuro secondo il quale:
“Principio e radice di ogni bene è il piacere del ventre; con questo ha rapporto tutto ciò che è ingegnoso e raffinato”.
Queste parole spiegano come etica ed estetica siano legate da un rapporto che è alla base della felicità, evidenziando come il piacere del cibo possa essere una fonte di piacere e raffinatezza che influenza l’intera esperienza umana.