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L’arte di abitare: costruire case nel silenzio del cuore

COME RENDERCI PIU' RESPONSABILI DELLE PAROLE E DELLE EMOZIONI ALTRUI

da Angela Abba
2 commenti
L'arte di abitare

Niente mi stupisce al mattino quanto la luce livida dell’alba che si svela, stropicciandosi, come le guance rosse dei papaveri in mezzo a covoni di nuvole.

Come un bambino, mi innamoro ogni volta di quella semina di luce che entra a fiotti dalle persiane mentre, sotto le coperte, aspetto di ricevere le prime notizie dal mondo: una tortora che tuba, un merlo che zufola tra i rami dei faggi o il primo fischio del treno col suo carico di vita assonnata che si porta appresso.

Il mondo là fuori si mette in moto, io dentro casa, come chiusa in un guscio, mi sento al riparo, sicura e protetta.

“Non abitiamo regioni: non abitiamo nemmeno la terra. Il cuore di coloro che amiamo è la nostra casa”. Questa mattina, mentre bevevo una spremuta d’arancia, ho riflettuto su questo pensiero che mi ha colpito sui social.

L’ho strappato come se afferrassi una margherita per il collo, l’ho assaporato cogliendone ogni sfumatura aspra e zuccherina. Ho assaggiato la sua fragranza inebriante e misteriosa e, più gli permettevo di avvolgermi, più mi sentivo a mio agio. 

Pensavo alla casa, ho chiuso gli occhi e mi sono sentita serena. 

Non è uno spazio fisico, definito dai confini di un paese, di una regione, non è nemmeno la terra.

La dimora di cui si parla nella citazione è uno spazio emotivo e affettivo, è un luogo senza porte, senza finestre e senza lucchetti.

Il mio cuore è un posto aperto a tutti; non esistono barriere culturali, né classi sociali o provenienze geografiche, vi abitano soltanto le emozioni: amore, dolore, gioia, tristezza.

Sono cresciuta nel mio cuore, rosso come il fuoco; cercando di strappare ciò che in me era male, ho lucidato a specchio i miei sentimenti, ho reso cristallina ogni emozione.

Ho allargato gli spazi per fare posto alle persone che amo, ho fatto accomodare amici che mi hanno ferito ed altri che mi hanno fatto ridere da morire. Ho piantato legami annaffiandoli con le mie lacrime, ho accolto i bisogni dell’altro, li ho pesati, ho assorbito come una spugna ogni loro sofferenza e paura.

Testardamente ho cercato nel cuore delle persone il bene anche nel peggio e troppe volte mi sono ritrovata con il cuore fatto a pezzi.

Eppure, non ho mai smesso di bussare, di sperare, di credere nella bontà e nell’umanità. 

Sono consapevole che alloggiare nel cuore di un’altra persona è vivere all’interno delle sue cure, dei suoi pensieri, delle sue preoccupazioni quotidiane, delle sue difficoltà.

E allora penso a mia madre, a quella donna coperta di figli, come scimmiette sempre aggrappati al suo grembo e alle sue ginocchia.

Ricordo il suo cuore, per me grande come un cortile nella luce accecante di un mezzogiorno d’estate, dove correvo, crescevo, insieme alle mie sorelle, felice di abitare nella più bella stagione della vita.

Non chiedevo altro che stare appiccicata al suo cuore che mi sorrideva anche quando qualcuno l’aveva appena ferita.

Provo timore a entrare nel cuore di un altro; lo faccio in rispettoso silenzio, come camminando dentro ad una cappella. 

Sporgermi è accedere nella sacralità della persona, giungere fin al punto più intimo e misterioso ed io, ho sempre paura di sporcarlo, di romperlo. 

Così, faccio passi leggeri come si fa entrando in una stanza di qualcuno che dorme, senza fiatare, in silenzio.

Rimango sull’uscio di quella “casa” e aspetto lasciando un pensiero, una poesia o un fiore. E un giorno succede che ci si innamora di un amore che è diventato una scelta di vita per la vita.

Un amore a due, che richiede un impegno a lungo termine, una presenza costante che implica l’abitare, l’esserci.

Reclama dedizione continua, il sostegno reciproco, il conforto nei momenti del bisogno e vuole leggerezza e sorrisi.

Abitare nel cuore di chi abbiamo scelto a condividere la nostra vita ci fa sentire responsabili delle azioni, delle parole, del benessere emotivo dell’altro.

Ma il tempo passa, le persone crescono, la vita va avanti con il suo divenire, un susseguirsi di cambiamenti che richiedono adattabilità, dialogo e trasformazione.

Ogni storia d’amore, ogni amicizia si sottopone a questo processo evolutivo che richiede maturità, empatia, attenzione e ascolto affinché la relazione viva.

E mi domando quante volte ci fermiamo sul crinale di un incontro, come sopra ad un precipizio, paralizzati dalla paura di cadere nel vuoto invece di pensare all’opportunità di un nuovo volo.

Andare avanti, fare quel passo ci fa rischiare di perdere un po’ di noi stessi, la nostra identità, per assomigliare all’altro.

Ma il mio cuore è di tutti senza mai essere di nessuno, giusto o sbagliato, è il mio modo d’amare e non ne conosco altri.

Io corro sempre il rischio di provare. In questa casa senza mattoni accolgo ogni tramonto ed ogni alba come un dono, in ogni battito c’è l’eco di una risata, il dolore di una lacrima, il calore di una carezza.

Da questo mio folle cuore ho imparato che il più coraggioso dei voli è quello che compio all’interno dell’anima altrui.

E nel silenzio di questo incontro scopro che ogni cuore che tocco con amore diventa una parte di me, un ricordo che persiste quando la notte si fonde con i colori incipriati dell’alba in un eterno abbraccio di luci e di ombre. 

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2 commenti

Salvatore Sordi Giugno 3, 2024 - 11:38 pm

Concordo “poeticamente”!

Infatti, tutto lo spazio che esiste nell’ambito di codesta umanità, non acquisisce un significato rigorosamente unitario; perché ciascun elemento va ad incasellare quell’altro tassello del mondo che così si vuole! 👋🌟

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Fabio Giugno 4, 2024 - 3:55 am

Bel pensiero, molto poetico e artistico. Grazie

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