Le vacanze sono fatte per esplorare. Cosa? Qualsiasi cosa: ciò che ci circonda, vicino o lontano, oppure ciò che risiede dentro noi. Possiamo muoverci fisicamente o restare fermi sul divano, intraprendendo viaggi immaginari attraverso le pagine di un libro, o percorrendo i sentieri di un mondo interiore che ci abita. Siamo nati esploratori: è la nostra natura che lo richiede spinta dall’intelligenza e da un’incolmabile curiosità.
E fu così che nell’estate del 1994 con una carovana di bambini scalmanati, cugini, zii, nipoti siamo partiti dalla Lunigiana, per raggiungere la Garfagnana. Perché proprio in Garfagnana? Perché volevamo andare a vedere il lago di Vagli ed il suo paese sommerso dall’acqua che, per la prima volta, tornava a riemergere alla luce del sole rivelando i suoi segreti nascosti.
Fabbriche di Careggine: Il Borgo Dimenticato
Da Pontremoli, si scende verso la Garfagnana, e con le nostre auto e pulmini affrontavamo il percorso su montagne russe: un continuo alternarsi di discese e di salite tra le colline di ulivi e i filari di uva. Il sole incominciava a farsi sentire e dai finestrini abbassati entrava l’intenso profumo dei pini e delle ginestre. Guardavo le Alpi Apuane svettare maestose, con le loro guglie abbracciate da una foschia dorata dei primi raggi del sole che sorgeva. Ogni curva del viaggio mi lasciava senza fiato, come se la bellezza che si apriva davanti ai miei occhi fosse un dono fatto apposta per me. Un cartello ci dà il benvenuti a Vagli di Fabbriche di Careggine; è un messaggio semplice, ma carico di aspettative che segna l’inizio di un’escursione tra la memoria e il mistero di un mondo sommerso e dimenticato.
Possiamo considerare questo luogo, uno delle meraviglie nascoste della Toscana, un piccolo borgo fantasma che riaffiora solo in rare occasioni portando con sé, un passato che non vuole essere dimenticato. Fabbriche di Careggine fu fondato nel XIII secolo da una comunità di fabbri, provenienti dalla Lombardia, attratti dalla ricchezza mineraria del luogo. Nel tempo, il paese crebbe e si sviluppò tutto intorno alla chiesa di S. Teodoro, diventando un vivace centro abitato nel cuore della Garfagnana. Tuttavia il destino del borgo cambiò radicalmente intorno alla metà del Novecento quando si realizzò la costruzione di una diga idroelettrica sul torrente Edron.
Gli abitanti del borgo furono costretti a lasciare le proprie case e i ricordi di una vita
Le acque del lago artificiale di Vagli inghiottirono il paese sommergendolo in un silenzio irreale e trasformandolo in un Atlantide moderna, dove il tempo sembra essersi fermato per sempre. Il borgo sommerso torna visitabile ogni volta che, per interventi di manutenzione, il bacino idrico viene svuotato. In queste rare occasioni, attira milioni di visitatori e curiosi desiderosi di camminare tra i resti delle case in pietra, i ruderi, le vie impolverate, la chiesa.
Con i bambini affamati che già reclamavano il panino e salame alle dieci del mattino, in 40 vacanzieri ci dirigevamo verso il punto in cui i cartelli indicavano l’ingresso al paese. Muniti di frigoriferi portatili, seggioline pieghevoli, tavolini da picnic, tovaglie, vaschette di verdura cotta, di frutta già lavata e di affettati, sicuri di sfamare un esercito per un’intera settimana.
Un’Escursione Tra Fascino e Desolazione
Dal punto in cui avevamo stabilito di “mettere le tende” e sistemare le vettovaglie, l’occhio si perdeva in una distesa di terra arida. Un panorama che mescolava fascino e desolazione, come se la natura ci stesse avvisando: “Benvenuti nel cuore del nulla”. Lontano da noi, si apriva un pendio di graniti, che scendeva verso il basso e dove ogni tanto il silenzio era rotto dal sibilo inquietante di qualche serpente d’acqua e l’improvviso urlo dei vacanzieri. Niente fa venire più appetito di un’allegra compagnia, di una fetta di pane con nutella ed il sorriso di un bambino ornato dai baffi di cioccolata che sbucano ai lati della bocca, pronti a strappare a tutti una risata.
Dopo aver messo a tacere lo stomaco decidemmo di avventurarci alla scoperta di quel paese là sotto, ancora nascosto ai nostri occhi, ma già presente nei nostri sensi. Il suo odore ci raggiungeva ancora prima della vista. Un odore fatto di pozze d’acqua salmastra, di pesci spiaggiati, di carcasse di animali abbandonate.
Con l’improvvisazione di turisti last minute ci lasciavamo scivolare giù lungo la discesa sabbiosa e rocciosa che conduceva sul fondo del lago, indossando ciabattine da spiaggia come se stessimo andando a cercare conchiglie. Il silenzio era spezzato dal canto delle cicale e dalle urla dei bambini, dai richiami degli adulti, dall’abbaiare dei cani. La strada principale, lastricata in pietra, emergeva davanti a noi come una vena dimenticata. Era una linea che si intrecciava con altre che conducevano a piazze, a vicoli, che un tempo risuonavano di passi, di voci e di risate. Più si scendeva nel cuore del paese, più i rumori si spegnevano. Restava solo il fruscio del vento tra i rovi secchi cresciuti sui balconi sgretolati.
Il campanile di San Teodoro svettava impettito come una sentinella
Sulle pareti dell’abside, sbiaditi dal tempo e dall’acqua, si intravedevano ancora alcuni affreschi. La terra cotta dal sole ci restituiva un odore ferroso, mescolato al profumo dell’erba selvatica. Accanto, il lavatoio sembrava riecheggiare delle risate delle lavandaie, del botto secco dei panni battuti sulla pieve, delle ragazze vestite a festa e dell’allegria che un tempo scorreva a fiumi per le strade. Dalle botteghe ora abbandonate pareva di sentire il martello battere sull’incudine mentre il fabbro piegava il ferro con precisione.
Il borgo congelato in un sonno eterno vive di una leggenda che lo rende ancora più misterioso: si dice che le campane della chiesa, sepolte dall’acqua, suonino ancora nei giorni di tempesta, quasi un richiamo, un pianto, un lamento di chi non vuole essere dimenticato. Ogni volta che guardo un lago penso a quelle vite che ho ascoltato, a quelle storie che continuano a esistere nella memoria e che nemmeno l’acqua con il suo fluire e la sua calma è riuscita a cancellare.
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