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La giovine Europa sta invecchiando

E NESSUNO TENTA DI RINGIOVANIRLA…

da Filippo Rigonat
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Nell’ultimo Pensiero d’Europa ci siamo lasciati con il potente monito di mazziniana memoria “L’Europa si desti”. Non serve elencare in questa occasione tutte le valorose imprese risorgimentali compiute da Giuseppe Mazzini. È sufficiente ricordare i due movimenti indipendentisti di cui è stato fondatore, ovvero “La giovine Italia” e “La giovine Europa”. Oltre al pionierismo ideologico nell’individuare la causa europea quale terminale finale del processo di indipendenza dei popoli, del quale parleremo magari in un prossimo Pensiero, dal lascito mazziniano viene alla luce un altro elemento imprescindibile da sempre alla base di qualsiasi movimento propulsore di innovazione nella storia: la giovinezza.

Il popolo irredente era giovanissimo, come lo erano i sanculotti francesi, i proletari russi, i castristi di Cuba fino alle più recenti masse di ventenni che hanno animato le primavere arabe. Tutti popoli che hanno guidato il proprio paese verso un nuovo corso, spinti più dalla vivacità e dall’incoscienza nel perseguire la lotta sovvertitrice che da calcoli meramente politici.


Declino demografico europeo: una crisi ignorata

La demografia assume un’importanza centrale nella dimensione strategica degli stati, ne è infatti il fattore economicamente e allo stesso tempo politicamente più rilevante, visto che in fin dei conti le nazioni sono composte da null’altro che da esseri umani, e questo la nostra Unione Europea sembra averlo dimenticato. Prendendo per buona la massima di Jean Jacques Rousseau secondo cui “il primo e più importante criterio per giudicare se un governo è buono o cattivo è la popolazione…” un governo buono fa sì che gli uomini si moltiplichino.”, il giudizio sull’Unione Europea e in particolare sugli stati fondatori è laconico.

L’Europa è divenuto un “vecchio continente” in tutti i sensi, infatti in UE nel 2024 si è registrata l’età media di 44,5 anni, dato che, confrontato con i 38,8 e 39 anni dei sempre più senili USA e Cina e in particolar modo con i 28,4 anni dell’India, i 27 anni dell’Iran e i 27,6 della penisola Araba, fa rabbrividire. Lo scenario demografico diventa ancora più preoccupante se guardiamo ai tassi di natalità e fertilità. Dal 2008 al 2022, il numero di nati ogni 1.000 abitanti in UE è sceso da 10,6 a 8,7. Ancora più allarmante è il tasso di fertilità, fermo a 1,46 figli per donna, ben al di sotto della soglia minima di 2,1 indicata dall’OMS per mantenere stabile la popolazione. (Fonti: Eurostat, ISPI, AdminStat 2024). 


Natalità e politiche UE: un’assenza preoccupante

Non si può poi non citare il raffronto tra il numero di anziani crescente e il numero di giovani decrescente, che ha portato nel 2023 “l’indice di dipendenza dagli anziani”, ovvero il rapporto tra pensionati e popolazione in età lavorativa, oltre il 35% in UE e il 40% in Italia, fotografia perfetta del crescente fardello assistenzialistico-medico previdenziale che attende lo Stato sociale al varco. Insomma, in UE le nascite non compensano le morti, portando a una decrescita costante della popolazione, al netto delle immigrazioni, con i giovani europei sempre più minoranza delle minoranze (16% di under 30 rispetto alla popolazione UE, Eurostat 2022). 

È evidente che si stia facendo troppo poco a livello istituzionale e politico, ed è abbastanza sconcertante che la Commissione Europea Von der Leyen non abbia finanziato e redatto alcun programma di politiche comunitarie a favore della natalità volte ad intervenire strutturalmente in aiuto delle nuove famiglie.


Il calo delle nascite è la prova vivida delle debolezze del modello europeo: l’economia fatica a sostenere le famiglie e la politica ignora il problema 

La natalità è vista come un tema secondario nell’agenda globale, affrontato solo da gruppi minoritari invece che essere trattato razionalmente dalle istituzioni.

I datati governanti europei si sono da tempo abbandonati allo stanco nichilismo post-storico interessato solamente a congelare il benessere accumulato nel corso dei decenni piuttosto che offrire una minima visione del futuro. Al contempo, i giovani che del futuro saranno protagonisti, vengono placidamente fatti accomodare al “tavolo dei bambini”, lasciati a discutere di questioni effimere, mentre i grandi continuano a perseguire i propri interessi forti di una vera e propria maggioranza elettorale demografica. Insieme all’Europa è diventato vecchio anche l’ideale di Europa. Fiaccato dall’algido burocratismo grigio e compassato che non si sta minimamente preoccupando di dare respiro alla prima generazione cresciuta sotto il segno delle 12 stelle. Non si può pensare di affrontare l’ardita sfida dell’unitarietà europea senza la forza innovatrice tipica dei popoli giovani. 


Ripensare l’Europa

Riscoprire la cifra antropologica delle popolazioni europee è la chiave della mission culturale, alla quale va accompagnato necessariamente un forte riequilibrio socio-economico a favore della popolazione sotto i 35 anni. Tutti obiettivi al momento molto lontani dalle sensibilità di opinione pubblica e politica, al netto dei triti convenevoli di rito.

Il coraggio e la forza necessari per curare la nostra Europa passano da noi giovani. Per questo ho voluto iniziare il viaggio tra i temi dei Pensieri d’Europa proprio da qui. Con la speranza di registrare in futuro segnali ricettivi da parte delle istituzioni UE fino ad ora colpevolmente lacunose. Non posso concludere anche oggi senza rievocare, e di nuovo storpiare, le attuali ed evocative parole scritte nel 1847 dal ventenne Goffredo Mameli in pieno fermento risorgimentale, perché: “l’Europa chiamò!”


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