Di fronte ad una tragedia così devastante, è facile lasciarsi sopraffare dalla rabbia e dall’indignazione. Ma è anche importante trovare spazio per la compassione.
Compassione per Giulia, la cui vita è stata brutalmente strappata via, e per tutte le donne che hanno subito e subiscono violenze simili.
Compassione anche per una società che sembra aver perso la bussola, incapace di proteggere i suoi membri più vulnerabili.
Rabbia o silenzio, bisogna riflettere
È un momento per riflettere profondamente su come possiamo cambiare, su come possiamo imparare ad ascoltare, a comprendere, a proteggerci a vicenda.
La tragica fine di Giulia Cecchettin, una giovane di soli 22 anni, per mano dell’ex fidanzato Filippo, è un urlo di dolore che squarcia il velo di una imperante ipocrisia troppo a lungo custodita.
Questa storia non è solo un fatto di cronaca, ma un monito, un campanello d’allarme che ci costringe a riflettere sulla violenza perpetrata contro le donne, ma in generale contro tutti gli esseri umani.
È un grido che ci interpella direttamente, chiedendoci di guardare in faccia una realtà troppo spesso ignorata o sottovalutata.
Questo terribile evento ci spinge a interrogarci ancora su una generazione che, tra fragilità e incapacità di affrontare il dolore e l’abbandono, si trova smarrita in un mondo sempre più connesso, ma paradossalmente sempre più isolato.
L’omicidio di Giulia getta una luce cruda su una realtà in cui i social network, lungi dall’essere solo strumenti di connessione, diventano invece amplificatori di un malcontento sotterraneo e di una disconnessione emotiva profonda.
Genitori disorientati incapaci di decifrare i segnali di malessere dei propri figli, trovano rifugio nell’incredulità o nell’indifferenza, aggravando una mancanza di comunicazione che, in realtà, è un vero e proprio analfabetismo emotivo.
Sempre più spesso, nelle nostre case manca un ‘vocabolario comune’ per esprimere sentimenti e paure, e lasciamo che il silenzio diventi un muro insormontabile.
La sottovalutazione della violenza, ignorata o minimizzata, è un sintomo di questa oscurità, che pervade le nostre vite. Non riconosciamo i segnali, talvolta perché non vogliamo vedere, talvolta perché non sappiamo come farlo.
Rabbia o silenzio, richiesta d’aiuto
E in questo contesto di non detto, di non ascolto, la violenza esplode, anche nelle famiglie dove tutto sembra “normale”, anche per mano di quel “bravo ragazzo” che non aveva mai fatto del male a nessuno.
Questo ennesimo episodio ci chiama ad un compito urgente: aiutare i nostri giovani a costruire relazioni autentiche e sane.
La giovane età dei protagonisti di questa tragedia ci mostra quanto sia cruciale l’educazione emotiva dei ragazzi, spesso persi tra frenetica quotidianità senza ‘valore aggiunto’, ed una vita condivisa sui social, ma distanti dalla loro vera emotività, che è presente solo nel profondo di ogni anima.
È fondamentale che i genitori, gli educatori, la società intera, imparino ad accedere ai sogni, ai dolori, ai bisogni dei giovani, per guidarli verso relazioni basate sul rispetto reciproco.
E soprattutto gli adulti imparino a dare il buon esempio, in prima persona. Scegliamo il silenzio e la compassione, non urliamo la rabbia che c’è. Ma allora, si deve tornare a meditare davvero.