Davanti ad un bambino malato, tanto malato da non potersi permettere di giocare all’aperto, di ridere come solo i bambini sanno fare, con quella musicalità argentina che ti fa voltare di scatto lo sguardo per cercarne l’origine, cosa si fa dinanzi ad un bambino che non si può permettere neanche movimenti di normale ampiezza perché incatenato a flebo e tubicini?
Molti voltano lo sguardo perché non sono in grado di cambiare la situazione, e la loro istintività non consente di prolungare l’attenzione su un qualcosa che offende terribilmente la sensibilità personale, altri si mettono in “moto” per cambiare le cose, o meglio per alleggerirle nella pesantezza e nell’ingiustizia che è propria della ospedalizzazione di un minore.
Vanni Oddera, classe 80, campione di motocross freestyle, inguaribile libertario nel modo di vita e nei pensieri, abitante di boschi e cavaliere di moto come fossero cavalli, si è proprio messo in moto, e cavalcando il sellino di rombanti due ruote ha portato vita in corsie di reparti pediatrici oncologici, ha dato movimenti insperati a chi non ne aveva.
Vanni si è inventato la Mototerapia, un sistema di cura che con 120 voti favorevoli, 90 contrari, 5 astenuti la Camera ha approvato (e trasmessa al Senato) quale terapia complementare per rendere l’esperienza della ospedalizzazione meno traumatica, incrementare l’autonomia dei piccoli pazienti e contribuire al percorso riabilitativo degli stessi.
Non parliamo di pazienti qualsiasi, ma di disabilità gravi e malati oncologici che alla vista di una moto (elettrica) nei corridoi delle corsie degli ospedali per un momento, il tempo di un giro, accantonano la diversità di chi non può fare tutto ciò che vuole.
Limitazioni dolorose per i bambini e i ragazzi che avrebbero, o meglio, dovrebbero avere tutta l’arrogante prepotenza della gestione del proprio tempo.
E all’improvviso sulla soglia del reparto appare Vanni con tuta da motociclista, sguardo sfrontato, quello stesso che gli ha fatto puntare i piedi con i genitori per avere la sua prima moto da cross, e gli infermieri, i medici, il personale tutto diventano pubblico di una esperienza emozionale fortissima.
Vanni prende con sé il paziente, aiutandolo a cavalcare la moto, o lo stringe bene tra le braccia laddove i movimenti sono limitati, e si va come se si fosse in una immaginaria strada la cui destinazione di arrivo è la vita.
Tutti applaudono, risolini musicali rendono il giro un curioso eco di normalità, ci si dimentica per pochi momenti della struttura in cui ci si trova, dell’infermiera che segue passo passo la moto con carrellini e flebo, Vanni è un supereroe in carne ed ossa e tatuaggi, quelle stesse ossa che ha frantumato in giovane età per perseguire la sua passione motociclistica.
Vanni non è stato personalmente promotore di questa proposta di legge, ha semplicemente portato avanti la sua intuizione ben accetta da vari ospedali italiani e non (la sua mototerapia è arrivata anche a Londra e in Russia), e ha raggiunto il cuore di migliaia di persone anche dei politici presenti alle manifestazioni proposte dallo stesso Oddera.
Casualmente si è capito l’importanza di dare distrazione, senso di libertà e di gioco a creature ingabbiate nei limiti di una patologia.
Chi, come me si occupa di medical coaching, attività di supporto per chi si è trovato dinanzi ad una cronicità o una diagnosi di malattia, sa quanto la capacità di costruire nuove abitudini, di individuare potenzialità ancora in essere, anche in una situazione non facile, possano aiutare ad uscire dall’incapacità di fare progetti, o di agire in una nuova visione di sé.
I bambini hanno una capacità del tutto personale di gestire la malattia rispetto a quella degli adulti, ma hanno anche la necessità di uscire al più presto da una situazione ingiusta, che sarebbe ingiusta per tutti, ma che nel caso di un minore diventa insopportabile.
Vanni li porta via dalla loro stanza, dalla stessa prospettiva che annoia lo sguardo, e per qualche minuto restituisce gioia.
Qualcuno anche con gravissime disabilità dopo questa esperienza, sviluppa una vera e propria passione, non abbandona la moto, e continua a guidare in prima persona portandosi dietro Vanni, maestro di sempre.
Eppure la legge approvata dalla Camera a fine febbraio di quest’anno e che aspetta il successivo passo al Senato, non ha avuto il plauso di tutti.
L’associazione nazionale genitori soggetti autistici ha espresso sconcerto e perplessità per tutto ciò, giudicando più urgente l’approvazione per altri sistemi di assistenza piuttosto che per una terapia dalle inesistenti valenze scientifiche.
Pur concordando e appoggiando esigenze disattese di genitori che affrontano il quotidiano dei figli in totale solitudine e con aiuti minimi o, addirittura, nulli credo che il buono di mettersi al servizio degli altri, in qualsiasi modo che non arrechi danno, non abbia bisogno di validazione scientifica e che il sorriso di un bambino dia dignità di terapia a qualsiasi cosa possa strapparlo per un attimo da un letto di ospedale.
Vanni è talmente motivato in ciò da non essersi fermato neanche dinanzi al Covid, e in piena pandemia ha portato la moto a casa dei piccoli pazienti, con incredibile coerenza di intenti si è adattato a una imprevista situazione dribblando ostacoli non da poco.
Auguriamoci che la sua moto da cross cavalchi le difficoltà con la determinazione del suo condottiero.
Vanni ci insegna che mettersi in moto è una cosa fattibile, e se non siamo capaci di farlo con una vera moto, che almeno tutto ciò sia da ispirazione per dare movimento ad azioni concrete di solidarietà.
Ah dimenticavo, Vanni ha un grande cuore ovviamente, ma se vogliamo sentirlo battere poggiamogli la mano sul petto, a destra però, la sua sindrome di situs viscerum inversus è una particolarità che fa di lui sempre più una creatura speciale finanche nella disposizione non convenzionale dei suoi organi. Non fermarti Vanni.