Comunque la si pensi con Donald Trump, una cosa è certa: i media lo adorano. Mediaticamente parlando, ovviamente.
Le urla nello studio ovale di venerdì scorso con davanti Volodymyr Zelensky sono state l’evento televisivo più incisivo forse degli ultimi 10 anni – se non 20.
E sia chiaro, non stiamo entrando nel merito. Non ancora.
Il puro giudizio sull’evento mediatico e il moralismo non vanno di pari passo, mai: chi lo nega si è scordato di guardare la televisione negli ultimi 25 anni; ovviamente non vuol dire che ci dimentichiamo di capire cosa è giusto e cosa meno.
Non è giusto, ad esempio, far credere agli europei che, eclissata l’America, si potrà tranquillamente provvedere noi tutti al sostentamento bellico dell’Ucraina. Perché è questo che filtra dalle polemiche dell’ultima settimana: Trump dice di aver versato 500 miliardi, dall’Europa rispondiamo che non è vero, che ne ha versati – come Stati Uniti – molti meno. E però attenti al sottotesto, perché non è che passa il concetto che l’America dava due spicci, mentre noi abbiamo finanziato soli soletti Abrahams, Leopard e Atacms – che la Russia ha neutralizzato un po’ in stile miniciccioli.
L’America ha versato in modo accertato almeno quanto l’Europa ha dato all’Ucraina per difendersi. Qui casca l’asino con tutte le dicerie di esercito comune e rialzo della spesa bellica, perché quali casse di quale Paese sopporterà nei prossimi anni delle spese esosissime come dazi, gas (non russo), aggiungendo pure la cambiale del riarmo generale?
Se n’è accorta forse Giorgia Meloni, la più cauta tra i leader europei sullo schieramento di truppe direttamente al confine, e non a caso. Che si facciano sentire le prossime elezioni (non lontanissime) o che ci si renda conto che il portafoglio degli italiani non sostiene l’inflazione attuale – figurarsi quella da riarmo o energetica – un sano realismo ha investito Palazzo Chigi e se ne vedrà l’effetto anche nei sondaggi.
Al rialzo o al ribasso?
Qui sta la questione su cui si interrogano i sondaggisti: com’è che è stato preso il litigio in diretta mondiale tra Trump e Zelensky? Su La Stampa leggevamo negli scorsi giorni che “l’88% degli italiani sono contro Trump”. Comprensibile, se leggiamo certi commenti agguerriti su X, e in effetti è proprio ciò di cui i colleghi del quotidiano torinese desideravano informarci.
Quello che, non si capisce come mai, è stato presentato come un sondaggio sul sentiment degli italiani circa l’operato di Trump, era in realtà una “sentiment analysis”, cioè uno studio sulle interazioni social successive alla tenzone tra i due capi di Stato. Ma un metodo assolutamente diverso dal sondaggio e soggetto a molti più limiti ed errori.
Quello che La Stampa riporta come “il sondaggio” per il quale l’88% degli italiani hanno preso male la strategia di Trump, è una fotografia di quello che gli utenti attivi sui social in quelle ore hanno scritto sui loro profili o risposto sotto i tweet degli altri. Ciò che ne consegue è presto detto: che fine fa chi non era sui social o ha recuperato l’accaduto nelle ore successive? E chi invece era, sì, sui social, ma non ha espresso un parere?
Non c’è nessuno di loro. La sentiment analysis non li considera, ed è giusto così in uno studio del genere.
Poi però c’è la realtà, cioè cosa pensano probabilmente gli italiani dei tre personaggi chiave sul prosieguo della guerra.
Secondo un sondaggio Demos, l’opinione degli italiani su Volodymyr Zelensky, Vladimir Putin e Donald Trump ha subito cambiamenti significativi dallo scoppio del conflitto. La fiducia nel presidente ucraino Zelensky è crollata dal 53% nel 2022 al 27% nel 2025, segnalando un calo drastico del consenso personale, nonostante il supporto generale all’Ucraina rimanga stabile.
Solo il 17% degli italiani ripone fiducia nel presidente russo Putin, un lieve aumento rispetto agli anni precedenti, ma Putin resta piuttosto impopolare.
Per quanto riguarda Trump, il 60% degli italiani crede che con lui alla Casa Bianca la guerra tra Russia e Ucraina potrebbe concludersi rapidamente. Inoltre, il 29% degli intervistati ha espresso una valutazione positiva sul suo operato, in crescita rispetto al passato. Rottura col passato, paura per la democrazia ma anche una certa insofferenza verso tutto ciò che non sia un cessate il fuoco.
“Io voglio un cessate il fuoco, sei tu che non lo vuoi“, ha urlato il tycoon in faccia al leader ucraino nel famoso incontro. Una strategia che gli americani non disprezzano, nonostante circa un 40% di loro abbia risposto “sì” alla domanda se il loro presidente sia un dittatore (sondaggio YouGov).
L’aspetto interessante è che sembra che il sentimento di guerra sia largamente impopolare anche negli States.
Secondo un sondaggio della Cbs (non certo filotrumpiana), il 51% approva la posizione generale di Washington, ma solo il 43% ritiene che Trump sia stato imparziale, mentre il 46% pensa che abbia favorito la Russia. Tra i repubblicani, c’è maggiore tolleranza verso la Russia rispetto ai democratici, ma una significativa parte critica comunque Mosca.
La strategia di Trump punta a negoziare un cessate-il-fuoco concedendo alla Russia parte dei territori conquistati, in cambio di investimenti americani in Ucraina per garantirne l’integrità futura. Tuttavia, la minaccia di tagliare gli aiuti militari e l’assenza di garanzie esplicite per Kiev hanno lasciato l’Ucraina in una posizione vulnerabile, alimentando tensioni con Zelensky. Ma trovato una certa approvazione tra gli elettorati.
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