Il 13 gennaio 2025 muore Oliviero Toscani, fotografo italiano di chiara fama, uomo di ingegno iconografico, capace di farsi amare ed odiare con la stessa intensità, come solo un personaggio di spessore può essere in grado di fare.
Conosciuto non solo dagli addetti ai lavori, odiato da politici per l’esagerazione delle sue esternazioni dove la misura non viene contemplata, Oliviero rende l’arte della fotografia un mezzo di comunicazione potente, in grado di esprimere più che una bella immagine, concetti di più ampio respiro, specchio di preconcetti e paradigmi datati, superati, surclassati da una più moderna visione d’immagine. È spoetizzante e commiserevole considerare quanto la morte promuova ad un giudizio più entusiastico le opere di chi scompare, quanto le opere stesse assurgano a livello di più alto apprezzamento.
Oliviero Toscani ha diretto campagne fotografiche in cui le immagini hanno spaventato, scandalizzato, urlato contenuti scomodi, attirato dinieghi di benpensanti, poco inclini a considerazioni di umano spessore.
Quanti hanno odiato Toscani, quanti hanno ascoltato le sue interviste col sopracciglio inarcato, quanti hanno definito “esagerate” scene in cui la capacità di comunicare il concetto era la strada maestra per creare la foto.
Provocazione e arte: il linguaggio fotografico di Toscani
Non voglio entrare nel merito di un uomo che ha vissuto a 200 all’ora, che alle volte ha perso la strada della linearità del pensiero, ma voglio celebrare chi ha reso i cartelloni pubblicitari, quadri a tinte forti di concetti spesso inespressi, eppure conosciuti. Chi della generazione boomer non ricorda tra le prime campagne fotografiche quella realizzata da Toscani per Jesus jeans, nel lontano 1973 con il lato b di un’avvenente ragazza strizzato in hotpants di jeans con sotto la scritta “chi mi ama mi segue”. Negli anni 70 non si parlava di mercificazione del corpo di una donna, si apprezzava la bellezza della provocante immagine che ben rivelava la moda a marchio Jesus (forte anche nella nomenclatura), fatta di jeans e ricordi hippy. Ma Oliviero Toscani ha sempre alzato il tiro.
Quanti hanno guardato sott’occhio, senza indugiare il cartellone con il bacio peccaminoso tra un prete e una suora, realizzato per il marchio Benetton nel 1991, immagine che ricevette censure e denunce e che voleva rappresentare l’amore universale, che supera i concetti di amore sacro ed amore profano. Sempre per Benetton nel 1992 Toscani fotografa abbracciati due bambini, uno biondo con occhi azzurri a rappresentare un angioletto, e uno nero con i capelli crespi attorcigliati a mo’ di corna a rappresentare un diavoletto. L’iconografia classica del biondo e buono, e del nero e cattivo, diviene immagine e ancora una volta fa parlare di razzismo, di pregiudizio, quando proprio a quel pregiudizio Toscani si è sempre voltato contro.
Campagne iconiche
Di fortissimo impatto lo spot realizzato sempre per Benetton che ritrae tre cuori umani, accostati uno all’altro, con le scritte white, black, yellow. Cosa di più immediato che colpire con una foto cruda, raccapricciante, che porta a pensare alla morte con un cuore che non pulsa più, ma di vitale comunicazione, perché ti rivela con precisione chirurgica l’assoluta uguaglianza tra le razze.
E ancora Toscani non si fa scrupolo di mettere in cartellone affisso per strada una modella particolare, una ragazza anoressica, che immortala nuda, spigolosa nelle strutture ossee a vista, col volto scavato e gli occhi sgranati, e che di lì a poco tempo troverà fine alla sua lotta con la vita.
Oliviero è un uomo provocante, che adora innescare lo shock come un fuoco che brucia e tiene alta l’attenzione su ciò che si guarda, ma è anche un uomo coraggioso che sovverte la dimensione della fotografia pubblicitaria, la rivede in chiave moderna, la rende libera dal prodotto. Il brand è rappresentato dal concetto e non dalla t-shirt e Benetton lo lascia fare. È come se per pubblicizzare un buon olio ci si limitasse a fotografare una bella tavolata conviviale piuttosto che la bottiglia del prodotto con tanto di etichetta. Il coraggio delle idee diventa benzina per un dinamismo che è difficile stoppare, che ti pone obiettivi sempre in là nel tempo. Il coraggio è una virtù, fa superare gli ostacoli con agilità, con prestanza, non si abbandona al giudizio, ma vince con la forza dell’espressione.
L’eredità di Oliviero Toscani: un linguaggio visivo che ha segnato un’epoca
Nel coaching ha come potenzialità l’audacia, la persistenza, la vitalità, l’integrità. Il coraggio ti permette di raggiungere obiettivi nonostante opposizioni tendano ad impedirlo. E quanti avrebbero voluto fermare il coraggio della rivoluzione d’immagine esplicata da Oliviero. Lui ha fatto dei concetti immagini vere, pulsanti, le ha inseguite queste immagini studiandone i giusti compromessi, ha sminuito i rischi grazie all’audacia, ha continuato ad esprimersi grazie alla perseveranza, ha trasmesso vitalità, quel misto di energia fisica e psichica che si specchia nei valori per cui si lavora, non ha rinunciato per perbenismo alla propria integrità, ossia alla propria autenticità, ad essere sé stesso anche in decisioni lavorative in cui il committente pone compromessi e paletti.
Che bella virtù il coraggio, se solo avessimo il coraggio di essere coraggiosi sparirebbero paure inutili e comparirebbero risultati insperati. E coraggio non vuol dire calpestare gli altri, ma coinvolgerli in un linguaggio universale dove le immagini comunicano tutto il necessario e diventano palestra per esprimere emozioni, sensazioni, per accumulare un dizionario visivo che diventa palestra anche per la mente, capace di accoppiare concetti e linee e forme e colori e sentimenti.
Quelli che hanno guidato Oliviero Toscani in una campagna fotografica i cui protagonisti erano i testimoni della strage di Stazzema, allora bambini ignari e inconsapevoli di tanta crudeltà, fotografati da Oliviero con la vecchiaia negli occhi e la rassegnazione di una vita andata. La fotografia ha il grande pregio di paralizzare un momento e renderlo senza tempo. E la grandezza del fotografo è avere la certezza del momento scelto. E la grandezza del fotografo coraggioso è restare sé stessi nella scelta, pensando che quella decisione sarà solamente l’inizio di una reazione di consensi e non che renderà esseri umani in grado di esprimere giudizi, di reagire dinanzi al bello o al brutto, capaci di esprimere il proprio pensiero. È ciò che ci si augura per una buona umanità.
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