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Mariann Dudde, Rosa Parks, simbolo di un’altra America

da Valter Vecellio
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Tra le mille immagini terribili e orribili che arrivano da ogni parte del mondo, una che mostra arroganza, egoismo, protervia, crudeltà è quella di una decina di immigrati clandestini non si sa di quale colpa colpevoli, incatenati e avviati verso la “pancia” di un aereo militare che li deporterà non sappiamo se in Colombia, Messico o Guantanamo. Per il presidente Donald Trump quei clandestini sono “invasori”, da rispedire nei “shithole countries” (“stati del buco del culo”), “avvelenano il sangue della Nazione”, nemici da combattere costi quello che costi.

Tanti saluti a quei versi del sonetto di Emma Lazarus inciso sulla placca posta alla base della statua della Libertà a New York: “Give me your tired, your poor, your huddled masses, yearning to breathe free, the wretched refuse of your teeming shore….”  (“Dai a me le tue creature esauste, i tuoi poveri, le tue plebi accalcate che bramano respirare liberamente, gli sventurati rifiuti delle tue brulicanti sponde…”).


La voce della misericordia

C’è poi un’altra immagine/simbolo: una donna esile d’aspetto, voce che è poco più di un sussurro. È una vescova episcopale, si chiama Mariann Dudde.

Durante il day after dell’insediamento, durante una cerimonia di preghiera alla National Cathedral di Washington, a un Trump che si autoproclama uomo da Dio mandato per fare l’America di nuovo grande, lei gli ricorda la più cristiana delle parole: misericordia, “Have mercy”.

Lui, tronfio della sua arroganza, la fulmina con lo sguardo irato; lui e la sua corte: non meno significative le espressioni del figlio maggiore Eric, e del vice-presidente J.D. Vance: nei loro occhi si legge: “Come osa?”.

Ha osato. Ha chiesto dal pulpito “misericordia” per i gay e gli immigrati clandestini, presi di mira da Trump nei suoi primi ordini esecutivi: “Le chiedo di aver misericordia, signor presidente“, sillaba, evocando la “paura” che percepisce in tutto il Paese: “Ci sono gay, lesbiche e ragazzi transgender in famiglie sia democratiche che repubblicane e indipendenti“.

Dudde chiede di guardare con occhio diverso alle persone che “lavorano nelle nostre fattorie, puliscono le nostre case e i nostri uffici, lavorano negli impianti del pollame e della carne, che lavano i piatti dopo che ceniamo nei ristoranti e fanno il turno di notte negli ospedali: forse non sono cittadini, forse non hanno i documenti a posto, ma la maggioranza degli immigrati non sono criminali“.

Con il suo sermone spiazza Trump: alza gli occhi al cielo; la figlia Tiffany accenna a un sorrisino; lo sguardo della first lady Melania non lascia dubbi sulla disapprovazione della first family. “Non penso che sia stata una buona predica“, dice poi Trump. “Ha usato un tono sgradevole, dovrebbe scusarsi“.

Non si è scusata. Mariann Dudde, è una delle voci più influenti della Chiesa episcopale americana, nota per il suo impegno verso la giustizia sociale e i diritti umani. Aveva già criticato Trump quando, durante le proteste del movimento Black Lives Matter per la morte dell’afroamericano George Floyd nell’estate 2020, l’allora presidente aveva usato la storica chiesa episcopale di St. John a Washington come sfondo per una foto con una bibbia in mano: la vescova aveva criticato pubblicamente l’evento, dichiarando che Trump aveva sfruttato il luogo sacro per fini politici senza consultare la diocesi.

Nata nel 1959 e cresciuta in Minnesota, Dudde ha un master in teologia del Virginia Theological Seminary e un dottorato della University of San Francisco. È la prima donna vescovo della Diocesi Episcopale di Washington.


Idealmente Dudde è “sorella” di un’altra donna, che in anni lontani è stata capace di un NO che ha cambiato la storia.

Il 1 dicembre del 1955 un’altra esile donna, nera, sale sull’autobus; è stanca, si siede su un posto libero. Le dicono che non è il suo, deve alzarsi. Lei scuote la testa, un semplice NO, il suo: non ha la minima intenzione di cedere il posto a un uomo bianco; che resti in piedi, anche se è bianco. Lei li è, e lì intende restare. Perché è stanca.

Quel giorno, Rosa Parks, sarta in un magazzino di Montgomery, stato dell’Alabama, è davvero stanca. Non di fatica, come poi si è detto; la fatica fisica la sopporta da sempre. Rosa è stanca di essere discriminata. Stanca che ci siano sedili sull’autobus dove persone come lei non si possono sedere. Stanca di quegli assurdi divieti, di quegli odiosi pregiudizi. Il suo è un NO di principio.

L’autista ferma l’autobus, chiama due poliziotti; intimano a Rosa di alzarsi; lei, rispettosa e ostinata, ripete il suo NO. L’arrestano, colpevole di non aver rispettato le leggi sulla segregazione. Negli Stati del Sud degli Stati Uniti, come appunto l’Alabama, sono in vigore le cosiddette leggi “Jim Crow”: i neri non possono accedere ai luoghi frequentati dai bianchi, certi ristoranti sono vietati, alcune scuole non le possono frequentare… Per loro, i neri, ci sono specifici bagni pubblici, ospedali, negozi.

Quello di Rosa Parks è un NO liberatorio. Un giovane Martin Luther King, che diventerà un apostolo della nonviolenza, e decine di leader delle comunità afroamericane, danno così vita a massicce campagne di boicottaggio rigorosamente nonviolente.

Quel NO di Rosa Parks è l’inizio di una grande epopea: la lotta nonviolenta contro le discriminazioni e il razzismo. Un’epopea che culmina con la famosa marcia al Lincoln Memorial di Washington dell’agosto del 1963, quella dello storico discorso del “I have a dream”. È il sogno di un paese dove siano garantiti giustizia e libertà per tutti, e dove le persone sono giudicate non per il colore della loro pelle, ma per le loro qualità e capacità. Deve comunque trascorrere un anno da quel NO, prima che la Corte Suprema dichiari incostituzionali le leggi che codificano la segregazione; e anche se tanto è cambiato, in questi sessant’anni, non si può dire che la lotta contro le discriminazioni sia conclusa.

Rosa e Mariann, non per un caso due donne: incarnano due mondi diversi, opposti, alternativi a quello di Trump. Sono il simbolo di una possibile dignità e umanità che non si piega e rassegna; che ci si augura sappia e possa resistere, insistere, esistere.


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