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X è l’ultima Meta

Ma l'ammissione di Zuck è politica

da Alessio De Paolis
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Quello che traspare dai nostri quotidiani è grossomodo lo stesso riassunto pubblicato ovunque: quella di Mark Zuckerberg è una mossa per ingraziarsi i trumpiani; poi passano velocemente a descrivere cosa cambierà su Facebook e le altre piattaforme di Meta. 

Alt. Perché nel pomeriggio di martedì, uno dei più importanti CEO nel mondo della comunicazione digitale non ha solo informato gli utenti di un aggiornamento di sistema.


“Ripristiniamo la libertà di espressione”

Ho creato i social media per dare voce alle persone”, dice Zuckerberg su un video postato su Facebook.
Cinque anni fa ho tenuto un discorso a Georgetown sull’importanza di proteggere la libertà di espressione. Ci credo ancora oggi, ma negli ultimi anni sono successe molte cose“.

Ciò che sembra – e volutamente viene fatto sembrare – un passo falso di una piattaforma qualsiasi a causa di un algoritmo qualsiasi è in realtà diritto di parola negato a milioni di persone. Persone che negli anni non hanno parlato di “sfruttamento dei minori o terrorismo”; ma utenti rimasti indignati dal fatto di assistere ad uno schema di un videogioco spacciato per un bunker del battaglione Azov a Mariupol in prima serata a La7, per dirne una.

Cosa succedeva quindi nella piattaforma che fino ad oggi veniva osannata come il baluardo del pluralismo? Che il giorno dopo questi utenti si ritrovavano rimosso il post, con tanto di avviso: “Fact checker indipendenti hanno verificato che la notizia che hai condiviso era falsa”. Poi però non era falsa manco pe’ niente (concedeteci il romano), il fatto era che ai professionisti dell’informazione dava fastidio che venisse messa in dubbio la loro autorità su certe narrazioni.

Quindi arrivò un’altra notizia: Facebook ha stretto un accordo! Ma non con “Fact Checker indipendenti”, come pomposamente si sosteneva prima, bensì con chi conduce il notiziario delle 20:00 in televisione. L’obiettivo, dicono, è la lotta al falso, alla “misinformazione”. E giù di account bannati con tanto di articolo a piè di pagina che piglia per il naso gli “analfabeti funzionali”, rei di non credere ai professionisti dell’informazione: lesa maestà in effetti, erano sempre stati così affidabili!


“Arbitri della verità? Ora basta”

Tre anni dopo, ecco il pentimento del CEO di Meta: “Dopo l’elezione di Trump nel 2016, i media tradizionali hanno scritto senza sosta di come la disinformazione fosse una minaccia per la democrazia. Abbiamo cercato in buona fede di rispondere a queste preoccupazioni senza diventare gli arbitri della verità. Ma i fact checker si sono rivelati troppo politicamente di parte e hanno distrutto più fiducia di quanta ne abbiano creata”.

Dunque cambierà tutto? Difficile a dirsi, anche perché il pesce non puzza solo dalla testa. Ora infatti, davanti a quella che perfino il creatore della piattaforma oggi dice essere una palese ingiustizia, abbiamo anche gli ultimi giapponesi che interpretano il fatto per sgonfiarlo di significato.


Le reazioni

Lasciando per un attimo fuori chi l’ha riportata come un semplice upgrade di Facebook (di quelli che facciamo al sistema operativo del cellulare ogni due mesi, per intenderci), abbiamo nella prima categoria che andiamo a presentare gli scismatici: “Lasciate queste piattaforme e basta!”, dicono dall’alto del loro scranno. Ma il problema è che miliardi di persone le frequentano. E seppur così non fosse, bisogna fare i conti col fatto che anche una sola persona che si iscrive a una piattaforma e viene censurata, resta scippata illegalmente del proprio diritto di parola. Accade perché non puoi semplicemente scrivere sugli “standard della Community” che , superato l’uscio della tua piattaforma, il diritto di parola non vale: e qui veniamo ai secondi scettici della nostra notizia, i negazionisti della censura.

Per costoro l’ammissione di Zuckerberg resta un noioso discorso a portata di scroll che non sposta nulla. E invece sposta tanto: uomini, mondi. Con la sparizione dei Fact Checker dalle piattaforme di Meta smette probabilmente di esistere l’avanguardia di un pensiero che assegna il diritto di parola a convenienza. Che vuole mettere al rogo gli eretici delle opinioni approfittando, senza sbandierarlo, di un vuoto nelle leggi degli Stati nazionali colpevolmente lasciato libero da norme che tutelassero i cittadini (non gli utenti).


Sulla via di Da-Musk

Non finisce tutto per generosità di Trump, come in molti dicono. Lo si capisce dalle parole di Zuck, in quella che è una palese resa delle armi in favore del social concorrente: “Inseriremo le note della community sotto i contenuti, similmente a quanto fa già X”. Mark non è rinsavito improvvisamente sulla via di Da-Musk. Il social del magnate – che invece Trump l’ha sostenuto – è la prima fonte di notizie negli USA, e lo stesso può accadere in Italia in tempi relativamente brevi – con buona pace di Elio e le Storie Tese. La libertà di opinione, alle lunghe, viene ricompensata dagli utenti, quando scelgono in che social esprimersi. È di questo che si è accorto Zuckerberg. Di lì il dietrofront, anche a costo di diventare uno spauracchio “pericoloso per la democrazia” perché sceglie di non censurare, come Elon Musk.


Qui il video pubblicato da Mark Zuckerberg su Facebook

Leggi anche: MELONI TRA DIPLOMAZIA, SATELLITI E POLEMICHE

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