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UE: l’umiliazione è mondiale

AL VERTICE DI MACRON CADE UNA PROMESSA DOPO L’ALTRA: L’UE È DEBOLE E SENZA NULLA DA OFFRIRE AI VINCITORI DELLA GUERRA

da Alessio De Paolis
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Alla fine – o quasi – di un cammino di guerra, siamo chiamati a valutare vincitori e vinti. O, se preferite, a chi è andata meglio e a chi peggio. Questa tirata di somme non è compatibile con una cosa: l’ideologia.

Ci spieghiamo: l’idea di un’Europa unita, ad esempio, sta bene nella democrazia dei sogni, ma noi ci occupiamo delle solide realtà, e l’UE (che non è l’Europa) di solido non ha nulla o quasi. Il gabinetto di guerra, anzi no, di pace indetto da Macron nasconde intrighi e interessi che, cari amici unionisti, sbattono in faccia dei fatti incontrovertibili sulla disunione europea. Agli appassionati di retroscena e gossip politico, consigliamo di andare a leggersi i particolari altrove, qui riduciamo all’osso: è stato un vero e proprio euroflop, visto che i leader europei si sono ritrovati a non concordare sostanzialmente su nulla. E questo fa parte della democrazia, ma cozza con la narrazione di un sistema perfetto senza il quale i singoli Stati sarebbero insignificanti.


UE pronta a parlare di pace? Mai stata pronta

Scrivevamo proprio su queste pagine digitali ormai un anno fa che gli Stati disuniti d’Europa avevano un problema di fondo nella questione della guerra in Ucraina, cioè nulla da offrire qualora fosse arrivato il tempo della pace, che è anche il momento delle ripartizioni.

Di pace però i leader europei non hanno mai voluto parlare: la sola parola evocava nei gabinetti istituzionali e nei dibattiti TV (ma non nelle agorà pubbliche) ribrezzo e disgusto nei confronti di chi la pronunciava, salvo nascondere quella nausea dietro frasi come “sì, ma quale pace?”, o “tu parli di pace unilaterale!”, o ancora “la pace di Putin dici?”.

Ecco, il momento della pace pare essere arrivato, ma anziché essere motivo di giubilo, diventa un triste mietitore per quegli Stati nazionali che, provando terrore a parlare anche solo della possibilità, non hanno programmato nulla per farsi trovare in pari col programma. Come lo studentello che prega per il sei a fine anno, ci ritroviamo ora a vedere umilianti proclami e urla al vento: “Coinvolgete l’Europa nelle trattative di pace!”, senza considerare che (come sempre diciamo in questa rubrica) in questo mondo che si riempie la bocca di valori, la cosa che conta innanzitutto sono gli interessi, e Trump e Putin non hanno alcun interesse geopolitico a coinvolgere l’Europa al vertice di Riad.

Il primo vede con ogni probabilità il vecchio continente come una curva ultras che – tranne qualche eccezione – pochi mesi fa decantava le doti dell’avversario politico Biden, ed è pronto a metterlo alla prova con qualcosa di ben più duro dei dazi – ne parleremo tra poco – il secondo sappiamo già come consideri gli europei, ma in caso non ve ne ricordiate, ci ha pensato qualche settimana fa a rinfrescargli la memoria: “Sono cagnolini di Trump che presto faranno ciò che dice”. 

Il gabinetto di Macron non solo non ha cambiato questa reputazione dell’UE, ma l’ha rafforzata. Innanzitutto perché è stata una cerimonia ristretta a soli otto Stati tra i più influenti d’Europa, e già il sottotesto che arriva è qualcosa di ben diverso dall’Unione – a certi livelli i dettagli sono importanti. 

C’erano, oltre a Macron, lo spagnolo Sanchez e il tedesco Scholz, l’inglese Starmer e il polacco Tusk, l’olandese Schoof e il danese Frederiksen: tutti hanno assistito all’arrivo di Giorgia Meloni, ultima arrivata non a caso, e di Ursula Von Der Leyen, con il segretario generale della Nato Mark Rutte e Antonio Costa, presidente del Consiglio Europeo. Dicevamo della Meloni arrivata puntualmente in ritardo, ma per un motivo ben preciso.

Qui sovviene la seconda spada di Damocle del disunito gabinetto, perché l’impressione è che l’incontro organizzato da Macron fosse – per restare in tema scolastico – come quelle assemblee d’istituto che danno percezione di potere allo studente dell’ultimo anno che le indice. Macron vuole scalzare Giorgia Meloni nei dialoghi con gli USA, ma i venti minuti al colloquio con Trump non hanno portato a nulla, così come non ha portato a nulla il tentativo di Scholz di andare a colloquio con Putin. Per inciso, ma non era deprecabile anche solo l’idea di parlare col capo del Cremlino qualche mese fa? 

Andiamo avanti sulla strategia della premier

Giorgia Meloni ha preferito presenziare per non restare isolata rispetto ai sodali UE, ma non arriva seconda a Macron quanto ad amichettismo con l’alleato americano: arriva, si siede, discute. Poi fa sapere di condividere la linea del vicepresidente Vance, e contesta la scelta di non invitare gli Stati che condividono i confini con la Russia, cioè le nazioni nord europee. Mossa giusta, ma da qui a dire che l’Italia conti o conterà qualcosa ce ne passa, perché per l’Unione Europea – tutta – la prova più dura deve ancora arrivare, e si chiama spesa per la difesa.

Qui si consuma il vero grande euroflop del rendez vous organizzato da Macron: i numeri uno d’Europa non concordano su nulla. La Gran Bretagna parla di schierare le truppe, la Germania frena, così come l’Italia; poi c’è la questione del portafoglio: non è un segreto che il nuovo inquilino della Casa Bianca pretenda una spesa equivalente al 5% del PIL dei singoli Stati da spendere in armi. Per l’Italia, ad esempio, vorrebbe dire arrivare a spendere in un anno quasi l’equivalente di quanto spende per la sanità. La proposta è sul tavolo non perché secondo Trump siamo in pericolo, ma perché l’America si è stufata di essere il perno della Nato, e ora il prezzo lo pagano gli europei, bisogna solo capire come.


Euroflop: lo scontrino è servito

Tramontata l’ipotesi eurobond, gli spagnoli fanno risorgere il Mes, ma gli Stati nordici rispondono al debito comune con un’espressione di disgusto. Lo scontrino dell’interventismo di guerra è sul tavolo, ma i leader d’Europa fanno a cazzotti per non pagare alla romana, dopo che avevano pensato (senza alcuna ragione) di essere ospiti a capotavola con cena offerta. Nessuno ricorderà a Macron di quando disse che dovevamo battere Putin, ma senza umiliarlo, quindi a breve la realtà busserà anche sul muro del “ci vuole più Europa”, che continuerà imperterrito come una messa cantata in cui l’offertorio diventa sempre più caro.

Al vertice di Macron sono svanite una promessa europea dopo l’altra: la garanzia di pace e di autorevolezza nel mondo, così come la certezza – errata – che chiamarsi Europa basta per sedersi al tavolo delle trattative di pace. Dopo aver parlato di armi e sostegno “fino alla vittoria”, l’UE non ha niente da offrire per sedersi a condividere il piatto di Riad che forse porrà le condizioni per fine della guerra in Ucraina, e Trump e Putin sono pronti a metterle/gli il grembiule da cameriere.


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