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Telegram, l’ennesima trave nell’occhio dell’occidente

PAVEL DUROV, E' CONTROVERSO IL FONDATORE ARRESTATO?

da Alessio De Paolis
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Telegram, parliamo di Pavel Durov

Su Pavel Durov nulla è come sembra. E spieghiamo perché non lo è a rischio di apparire “bastian contrari” ad ogni costo. Ricapitolando rapidamente, il patron di Telegram arrestato in Francia lo scorso sabato sera sarebbe imputato con le seguenti accuse: terrorismo, traffico di droga, complicità con attività criminale, frode, riciclaggio di denaro.

È lui in prima persona ad aver commesso tali reati? No, ma li avrebbe avallati sulla sua piattaforma: alt. Perché qui dobbiamo correggerci su quanto scritto due righe prima.

Sostituite la parola “avallato” con “facilitato”, e avrete l’accusa precisa delle autorità francesi, dalle quali Durov subirà il processo.

Si tratta di reati ovviamente molto gravi, perfino la pedopornografia sarebbe inclusa nella lunga lista di illeciti, ma il nostro piccolo errore sul termine “avallare” è esattamente la chiave della questione.

Su diversi quotidiani Durov viene dipinto come un incallito ideologo russo amico del Cremlino, che dunque avrebbe dato a Telegram un indirizzo preciso per gli scopi del Cremlino.

Poi ci sono i fatti, ai quali interessa poco delle interpretazioni che si pretendono super-partes, ma che in realtà sono intrise di propaganda.

Perché Durov fuggì dalla Russia nel 2014 con l’accusa di non aver collaborato con il governo per scovare dissidenti come Navalny, che non ha bisogno di presentazioni.

Non è che allora il “criminale” filorusso adesso stia scontando la stessa colpa, per non aver collaborato con un altro governo?

Giusto di qualche giorno fa è il litigio tra il CEO di X/Twitter Elon Musk e un ex cronista della CNN durante un’intervista sul tema censura:

“Non pensi che sia tua responsabilità moderare i contenuti sulla tua piattaforma?”

– “Moderare è la parola della propaganda che equivale a censurare”

Il giornalista spiega poi che è provato come alcuni criminali si siano radicalizzati sulle piattaforme digitali, ma Musk ha rigettato le accuse: “Noi non siamo un giornale che pubblica 20 articoli al giorno, nel nostro sito solo oggi abbiamo 500 milioni di interazioni. Siamo più paragonabili a Internet. Vuoi censurare Internet?”

Poi il passaggio chiave: il giornalista lo incalza così: “Guarda queste immagini. Pensi sia giusto promuoverle sulla vostra piattaforma?”

– “Hai detto promuovere. Il fatto che siano sulla piattaforma non significa che le promuoviamo.

Ovviamente rimuoviamo le cose illegali, ma se noi iniziamo a cancellare contenuti, ci poniamo sopra la legge, sopra lo Stato e la volontà dei cittadini”.

Le parole di Musk in effetti collimano con una legge fondamentale di Internet, ovvero la Section 230, la norma che ha quasi 30 anni e che permette alle piattaforme di non essere considerate responsabili per i contenuti che ospitano.

Se dovessero agire come editori, compiendo però azioni plateali, le big tech perderebbero tale tutela. Qual è il senso?  

Non interferire con gli Stati e con la volontà popolare, che però è ultimamente sempre più sotto scacco.

Perché dietro la questione di Durov che viene infiocchettata con dozzine di accuse molto gravi, si nasconde un prezzo molto chiaro: sulla libertà di parola decide il popolo o i detentori delle piattaforme?

“La questione è che Durov si è rifiutato di collaborare con le forze dell’ordine”, puntualizza su X Dario Nardella.

Viene da chiedere però come mai non debbano collaborare con le autorità anche Whatsapp, Facebook, YouTube, Instagram e l’allegra combriccola di Meta.

Questo perché solo gli sprovveduti non sanno che ci vuole una manciata di secondi per accedere a gruppi discutibili tramite Facebook o ordinare droga su Whatsapp per un servizio dal produttore al consumatore in stile Glovo.

La differenza tra il gruppo di Meta e quello di Telegram però è una ed è invisa ai burocrati di Bruxelles: mentre Zuckerberg è disposto a mettere la firma sul Digital Service Act in un batter d’occhio, lo stesso non vale evidentemente per Durov.

La collaborazione con i vertici dell’UE per “fermare la disinformazione” è pane quotidiano per la propaganda di Meta, ma di quale disinformazione parliamo? Quella che ci ha fatto scoprire le magagne dei Leopard in Ucraina per caso? 

Forse senza Telegram saremmo ancora alla guerra con archi e frecce dell’esercito russo e al Regno Unito senza cibo né acqua in pochi giorni dopo la Brexit.

Attendendo nuovi particolari, non sarà allora che quello che non va bene di Telegram è che non stringe il patto del diavolo con chi, presto o tardi, verrà a bussare anche a noi dicendoci di pensarla come loro o in alternativa sloggiare?

Per approfondire / I NUMERI MONDIALI DI TELEGRAM

Telegram ha superato i 700 milioni di utenti attivi mensili nel 2024, consolidando il suo ruolo di leader tra le piattaforme di messaggistica istantanea. La sua popolarità è particolarmente elevata in Africa, dove oltre il 56% dei nigeriani e più del 40% dei ghanesi utilizzano regolarmente l’app. In Europa,

Telegram è molto diffuso in Italia, con un tasso di penetrazione del 32%, e in Spagna, dove il 25% della popolazione lo utilizza abitualmente. Anche in Asia, paesi come l’Indonesia e Singapore registrano percentuali elevate di utilizzo, rispettivamente del 28,5% e del 30,1%. Telegram è disponibile in 155 paesi e supporta 58 lingue, offrendo una vasta gamma di funzionalità che lo rendono un’app versatile e potente.

Tra queste, i canali pubblici, che permettono di raggiungere milioni di utenti, e una raccolta di oltre 20.000 sticker.

L’applicazione è molto apprezzata per la sua enfasi sulla privacy e la sicurezza, grazie anche all’assenza di spese pubblicitarie, preferendo affidarsi al passaparola ed alla qualità del servizio per continuare a crescere.

Questa combinazione di fattori ha reso Telegram una delle principali piattaforme di comunicazione nel panorama digitale globale.

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