Ricordate le “deportation” di Donald Trump? Bene, adesso le vuole fare anche l’UE.
Strano ma vero. Questo è quello che viene fuori dalla bozza presentata martedì che ora dovrà essere discussa e approvata da Parlamento Europeo e Consiglio dell’Unione Europea, ma tingendo tutto con la bandiera blu e le dodici stelle suona tutto molto meno estremista. Se le critiche mille al Tycoon americano hanno piovuto a tamburo battente fino a pochi giorni fa, sembra incredibile come si siano diradate come neve al sole ora che l’Europa parla per la prima volta di “remigrazioni”: un piccolo consiglio, si vada a vedere cosa vuol dire e ci si dica qual è la differenza con le osteggiatissime “deportation” per cui le manifestanti francesi alzano il braccio teso per scimmiottare le “SS” di Trump.
Il piano unionale sui migranti, così come presentato, dà anche ragione a Giorgia Meloni. Anzi, si potrebbe dire che è sostanzialmente ricalcato sul modello italiano, benché il commissario agli affari interni Brunner abbia tenuto a spiegare in sede di presentazione che “sono cose completamente diverse”. Excusatio non petita. Vediamo perché: la differenza sostanziale con l’accordo tra Italia e Albania, smontato dalle sentenze, è che i return hubs a cui pensa la commissione sono “per persone che hanno già ricevuto un verdetto per il rimpatrio”.
Ma le congruenze col piano italiano, per quanto si cerchi di dirle a bassa voce, sono tante e poco camuffabili.
Parliamo di due centri: uno a Shëngjin e uno a Gjader. Nel primo si sbrigano le procedure per l’ingresso, nel secondo ci si occupa dei richiedenti asilo ma anche dei rimpatri. A mezza bocca o meno, è questo il modello che vuole sposare la commissione.
Anche perché “il rimpatrio oggi nell’Unione Europea non funziona, e lo status quo attuale non è un’opzione” secondo la vicepresidente Virkkunen. A farle eco lo stesso Brunner: “il meccanismo diventa insostenibile se le persone che non hanno diritto d’asilo abusano del sistema. Oggi solo una persona su cinque a cui viene detto di lasciare l’UE la lascia effettivamente. Questo non è accettabile”.
Per quanto sembrino parole stampate sulla bocca di Giorgia Meloni, la riforma piace parecchio in Olanda ma anche in Germania, dove Nancy Faeser, ministra dell’interno socialdemocratica, ha applaudito così: “Chi non ha il diritto di soggiornare in Germania e nell’UE deve tornare al proprio paese. Attualmente la Germania espelle il 30% in più rispetto allo scorso anno. Se riusciremo a rendere efficaci le procedure in tutta l’UE, i rimpatri saranno ulteriormente accelerati”. E tanti saluti agli estremisti della Casa Bianca.
Ma la novità interessante per il governo italiano è un’altra. Il trasferimento in Paesi terzi diversi da quelli di origine dei migranti, non prevede nella nuova bozza l’obbligo di consenso sancito dagli attuali regolamenti. Quelli a cui, per intenderci, i giudici si sono appellati per dichiarare l’inammissibilità nel caso Italia – Albania: il governo Meloni non poteva, fino ad allora, generare in autonomia la lista di paesi sicuri con cui concordare la detenzione dei migranti.
In sostanza se il regolamento passasse, le toghe che hanno bloccato l’operazione albanese sarebbero giuridicamente messe alle strette, così come sarebbe messa spalle al muro che vede nella regolamentazione delle migrazioni una pericolosa chimera xenofoba.
Libertà di decidere il Paese terzo dunque, con una postilla: «Un tale accordo o intesa», si legge, «può essere concluso solo con un Paese terzo in cui siano rispettati gli standard e i principi internazionali sui diritti umani in conformità al diritto internazionale, incluso il principio di non respingimento».
Vedremo quanto sarà vero o quanto sarà burocrazia, così come l’inserimento della possibilità di riconoscere l’ordine di espulsione di uno Stato membro. Per semplificare, i singoli Stati avrebbero il diritto di espellere un migrante che ha già un ordine di espulsione in un altra nazione: Parigi potrebbe rimpatriare velocemente un migrante con avviso di espulsione già emesso da Roma senza effettuare troppe verifiche.
Ovviamente chi si oppone c’è: sono i parlamentari del PD Alessandro Zan, Pierfrancesco Majorino e Cecilia Strada, a definire la bozza come un “piano disumano”. Lo avrebbero fatto con Giorgia Meloni, e lo fanno pure con la Commissione – che nega di copiare Meloni.
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