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Meloni-Almasri, alla fine non c’era nessun atto dovuto

da Alessio De Paolis
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In che modo in Italia si finisce nel librone dei potenziali reati?

Nella circolare del 2 ottobre 2017, Giuseppe Pignatone ha chiarito che l’iscrizione nel registro degli indagati non è un atto automatico – o “dovuto”, se preferite – in presenza di una denuncia o querela. Ha sottolineato che tale iscrizione spetta esclusivamente al pubblico ministero, che deve effettuare una valutazione ponderata basata su specifici elementi indizianti e non su meri sospetti. Un atto profondamente ragionato, affidato ai singoli pm, e non certo un atto dovuto.

Pignatone ha criticato la prassi di iscrizioni frettolose, che attribuirebbero impropriamente tale potere alla polizia giudiziaria o ai privati denuncianti, e ha ribadito la necessità di evitare automatismi per garantire correttezza e tutela dei diritti delle persone coinvolte. La circolare mira a bilanciare tempestività e accuratezza nella gestione delle notizie di reato, evitando iscrizioni superflue o ritardi ingiustificati.


La circolare di Pignatone e il rischio degli automatismi

Giusto, abbiamo dimenticato di dire chi è Giuseppe Pignatone: si tratta del predecessore di Francesco Lo Voi. Esatto, proprio il capo dell’ufficio giudiziario della Capitale che ha recapitato a Giorgia Meloni l’avviso di garanzia per il caso del criminale Almasri, riportato in Libia e non passato per il giudizio della Corte Penale Internazionale dopo il rimpatrio del governo italiano. 

Mezzo governo è indagato per l’atto firmato da Lo Voi, ma non è interessante andare a vedere il curriculum del procuratore per capire se si tratti di un processo politico o meno, anche perché quello non dice niente: trafila in diversi partiti di destra, poi la “conversione” a uomo di Prodi. Vuol dire tutto e non vuol dire niente, e a dir la verità questo vanifica anche tanti sforzi della maggioranza di governo di metterla sul processo intentato da un avversario politico, e non da un funzionario terzo. Questo vuol dire dunque che non si tratta di un processo politico? Aspettate a giudicare.

Perché oltre alle valutazioni del suo predecessore, c’è un altro dato incongruente con lo zelo mostrato da Lo Voi nel ricevere e recapitare la querela diretta a Giorgia Meloni: la montagna di denunce che funzionari come lui sono costretti a smaltire di giorno in giorno. O vogliamo credere che una denuncia diretta alla premier scavalca tutte le altre, e che quindi c’è una specie di graduatoria che valuta la gravità dei reati e ne mette alcuni sopra ad altri?


L’avviso di garanzia a Giorgia Meloni: le tempistiche…

A Roma, nel 2023, sono state registrate circa 231.293 denunce, con un incremento rispetto agli anni precedenti. Questo dato corrisponde a 6.071 denunce ogni 100.000 abitanti, posizionando la città al secondo posto in Italia per numero di reati denunciati dopo Milano. Un bel lavoro da sbrigare per Lo Voi, che però è riuscito lo stesso a recapitare la denuncia a Giorgia Meloni in tempi da gara.

È vero, si potrebbe anche credere che in quello specifico giorno il lavoro in ufficio sia stato svolto particolarmente bene, e cadrebbe ogni osservazione sull’avviso di garanzia flash e la politicizzazione della magistratura. Però è qui che ci viene in aiuto la considerazione inviata da Pignatone nel 2017 a tutti i colleghi. Una nota che, come abbiamo specificato, parla delle modalità con le quali si finisce nel librone dei potenziali reati, cioè la procedura di “eventuale iscrizione nel registro degli indagati”, dove “eventuale” sta già a indicare che non è meccanica (o dovuta, se preferite).

E l’iscrizione nel registro degli indagati

“Non si tratta di un semplice atto dovuto”, ribadisce più volte, “ma di una decisione che deve essere presa con attenzione e basata su elementi concreti”. “L’iscrizione non può avvenire automaticamente solo perché qualcuno è indicato in una denuncia o querela”, ovviamente.

Poi va oltre: “È il pubblico ministero che deve valutare se ci siano indizi specifici e rilevanti per procedere”, e attenzione, “evitando sia iscrizioni frettolose sia omissioni ingiustificate”. Questa posizione per esortare a una giustizia equilibrata, “lontana da automatismi che rischiano di compromettere la vita delle persone senza basi solide”.

Un tema che torna attuale oggi, mentre lui stesso è coinvolto in un’indagine per presunto favoreggiamento alla mafia, dove ha dichiarato: “Sono assolutamente disponibile a chiarire la mia posizione” e “collaborerò con la magistratura nei limiti delle mie possibilità”.

Si metta a verbale, dunque, che la notifica dell’avviso di garanzia recapitata a Giorgia Meloni, Matteo Piantedosi e al sottosegretario Alfredo Mantovano non è affatto un atto dovuto, e che – di più – avrebbe potuto essere cestinata in base a una precisa volontà del capo dell’ufficio giudiziario. Volontà che a quanto pare non c’è stata. Almeno secondo quanto ci suggerisce l’ex procuratore Pignatone.


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