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La generazione Z e la telefonofobia

SORDITÀ DEL SUONO E AZIONI COLLATERALI

da Sabina Aversa
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La generazione Z e la telefonofobia

Si parla tantissimo della generazione Z, la si studia con la dovizia di particolari di una specie rara, sorprendente, ancora semisconosciuta.

Si appioppa alla generazione Z la definizione più curiosa, straniera di consapevolezza, o la si dipinge con tratti che sfuggono alla benché minima schematizzazione.

Si parla e si scrive della generazione Z, ma si ascolta pochissimo la generazione Z, portandola su un piano di comprensione che esula dalla volontà vera di scoprirla.

È diversa da noi, ma capace di sorprese in atteggiamenti e contraddizioni che lasciano stupiti.

Tra queste non lo avremmo mai immaginato, risulta che la generazione Z abbia un cattivo rapporto con il telefono.

Roba da ridere, da sgranare gli occhi, da non crederci neanche per un istante. Proprio questi ragazzi, appendici di smartphone, esulano l’utilizzo per cui è nato?

Sentire ovunque voci, essere raggiunti ovunque, parlare con affetti di tutti i giorni.

Eppure da una ricerca risulta essere così. E appoggio e condivido questo risultato avendo sotto gli occhi adolescenti che sfuggono ai ripetuti squilli del cellulare, ignorando chiamate, rifiutando contatti diretti, evirando inizi di conversazione.

Sempre connessi questi ragazzi, ma impreparati, spaventati, spauriti, annoiati nel ricevere telefonate, soprattutto quelle improvvise.

Cellulare-dipendenza
Cellulare-dipendenza

Addentrandoci nel campo dei dati numerici un sondaggio rivela che il 70% delle persone tra i 18 ed i 34 anni evita di rispondere alle telefonate e preferisce mandare un messaggio subito dopo avere ricevuto lo squillo, i più espansivi, ossia il 37% mandano una nota vocale.

Telefonofobia, moda o problema?

E che si tratti di una moda assai diffusa tra i giovani di tutto il mondo (che strano pensare che atteggiamenti serpeggiano ovunque seguendo un contagio senza confini) lo dimostra il fatto che in Giappone si utilizza un termine ben preciso “muon sedai” tradotto in generazione silenziosa per indicare giovani che si agitano al primo squillo, alla sola idea di dover rispondere al telefono.

Che contraddizione avere sempre in mano un cellulare e stravolgerne il senso, annullare possibilità di comunicazione… ma se non fosse così? Se i giovani scegliessero modi e tempi di comunicazione in base alle loro esigenze?

Non sanno quelli della generazione Z cosa volesse dire per i Millennials alzare la cornetta al primo squillo senza sapere quale tono di voce si palesasse alla risposta.

Non sanno sempre i soliti della generazione Z cosa volesse dire avere il cuore in gola durante gli interminabili secondi in attesa che qualcuno rispondesse dall’altro capo del telefono, e di sicuro se chiamavi il compagno preferito rispondeva uno dei genitori che con fare inquisitorio chiedevano “chi lo vuole?”.

No, non lo sanno e non lo sapranno mai, perché non lo hanno mai vissuto. È inutile puntare il dito.

A loro appartengono altre cose, altre magie, magari la magia di quel cuore o quella faccina felice mandata a fine messaggio, o quella nota vocale che risentono una, dieci, mille volte a loro piacimento.

E sarà libertà scegliere se rispondere o se comunicare in altro modo. 

Non tutto dovrebbe diventare critica, incomprensione, stupore, o che ne sapete voi, infatti non lo sanno.

Ma sanno quei selfie fatti tutti insieme al culmine di risate incontenibili, sanno far volare le agili mani sulle tastiere come provetti pianisti… e sarà musica, musica bella che si avvolge intorno ad emoticon carini, colorati, espressivi, molteplici, espliciti.

I tempi si abbrevieranno, le tappe si bruceranno, i cuori invaderanno pensieri indirizzandoli nel verso giusto.

Chi l’ha detto che tutto ciò sia patologico, che non sia una forma di comunicazione immediata come un pronto a uno squillo telefonico, forte e sintetica, ma efficace.

La generazione Z sta riscrivendo i canoni di una generazione libera, slegata da imbonimenti, capace di scegliere il momento giusto per rispondere o meno, senza lasciarsi obbligare da uno squillo, sentendosi capace di dominare il tempo, di modularlo in base alle sue voglie.

E se qualcuno vuole ravvisare in questo un comportamento malato, triste, asociale, ci ripensi un po’, potrebbe cambiare idea. Parola di Millennials.

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