La sera del 28 settembre 2024 al Circo Massimo gli appassionati di musica, dico di musica Vera, si sono dati appuntamento per sentire suonare un grande del rock, un grande dei tempi un po’ andati, ma che grande rimarrà se le orecchie dei più giovani si aprono ad accordi e vibrati di bella esecuzione.
Sotto un cielo di stelle. e a Roma le stelle, si sa, brillano come poche, tra le vestigia dell’antico impero romano esce sul palco con i suoi chili di troppo, il suo look da concerto improvvisato il grande David Gilmour, chitarrista storico dei Pink Floyd, band che negli anni 80 ha scatenato folle agitate, stipate nei più grandi stadi del mondo.
David esce con la padronanza di chi calca un palco di un teatrino di provincia e suona, ma a metà del pezzo “In Any Tongue” in cui campeggia un meraviglioso assolo di chitarra succede l’inenarrabile.
David sbaglia completamente, senza ombra di dubbio alcuno, tutte le prime note dell’assolo, quelle che il pubblico stava aspettando, quelle che valevano il prezzo del biglietto.
David ci riprova più di una volta cercando caparbiamente quel bandolo della matassa che lo avrebbe riportato sulla buona strada (acusticamente parlando), ma nulla, niente da fare l’errore si ripete, si auto riproduce con la fertilità di un coniglio in calore, e David che fa?
Mette in stop il pensiero e le mani, si tuffa nella consapevolezza della situazione che sta vivendo, senza nascondersi o mimare tragedie fisiche, come tutti abbiamo fatto ai compiti in classe almeno una volta, e girandosi verso il bassista si lascia andare a una risata liberatoria accompagnata da uno scuotimento di testa a diniego.
Basta ciò per recuperare in un attimo le note perdute e suonare meravigliosamente il pezzo tutto di un fiato. Non è la prima volta che David si imbatte nell’errore e dimostra di cavalcarlo come un bambino fa con una scopa al galoppo, senza vergogna.
Nel 2011 in un concerto londinese il celebre chitarrista suonò male, ma male da dover far rimpiangere i quindicenni alle prime armi come scrisse un critico presente al concerto.
Sbagliare, questa è la notizia, anzi la notizia è reagire all’errore, non farsi divorare dall’idea di non poter mostrare cedimenti, fare diventare l’errore protagonista senza nasconderlo ai più, ma evidenziando il momento dell’umano tentennamento. Errare humanum est, sbagliare è umano!
E la considerazione che per prima è serpeggiata tra il pubblico di Roma è stata quella di una condivisione assoluta che ha avvicinato ancor di più il musicista famoso e gli altri, riunendo in un unico pensiero chiunque abbia pensato “e se sbaglia lui prendendola a ridere allora posso sbagliare anche io quando suono dinanzi agli altri”.
- L’errore smaschera quel senso di umano e di fragilità che avvicina un po’ tutti.
Eppure quanto siamo stati indottrinati a evitare lo sbaglio, come fosse una vergogna dalla quale non rialzarsi se non a fatica?
Dai saggi dell’asilo, alle recite scolastiche, agli spettacoli di fine anno dei corsi di ballo o canto, o alle partite sportive di fine allenamento.
Non so quanto si usi più, ma un tempo, i dinosauri erano già estinti comunque, la recita dinanzi alla tavolata dei parenti della famosa poesia di Natale era un primissimo banco di prova di memoria e bravura nell’evitare appunto l’errore.
Se si sbagliava? Rimproveri della mamma, pianti, drammi senza fine. L’errore comportamentale o di altro genere ha sempre evidenziato una mancanza di sapere, o di controllo, è sempre stato un qualcosa da evitare come la peste.
E adesso, che anche i grandi amplificano errori in contesti di ben più ampio respiro, sono gli errori stessi a rappresentare l’attrattiva nuova verso chi lo commette.
Siamo così clementi verso gli altri e così inesorabili verso noi stessi. Perché l’errore nel nostro immaginario rappresenta la debolezza di una applicazione non troppo attenta, la sbadataggine nella goffa gestualità, la vergogna di sentirsi diversi, inferiormente diversi.
David grazie per quella risata, per avere alleggerito un momento no, per averci insegnato che non avviluppandosi nell’errore, ma venendone fuori facendo ripartire la mente in nuova concentrazione si ha la giusta clemenza verso sé stessi, e si dona agli altri un pezzetto di sé che è quello migliore, più intimo, più vero.
E se qualcuno dal pubblico avrà sussurrato “ho pagato tanto per sentire uno che sbaglia gli accordi”, ebbene quel qualcuno dimostra tutta la pochezza di chi rimane imbrigliato in schemi di ormai inusitata utilità.
Quel qualcuno ha passato i giorni a imparare a memoria la poesia di Natale da recitare la notte magica con il batticuore di chi non può sbagliare, senza sapere che la poesia si può anche leggere, basta saperla interpretare a dovere incrociando gli occhi di chi benevolmente la sta a sentire.