Prospettiva e obiettivo dell’articolo
Sono trascorsi già due mesi da quando Papa Francesco, mediante il rito di apertura della Porta Santa nella Basilica di San Pietro, ha dato solenne inizio all’anno giubilare del 2025. Così, pellegrini provenienti da ogni parte della cristianità giungono a Roma – sulla tomba di Pietro o in una delle altre basiliche papali – a lucrare l’indulgenza ovvero a compiere quel particolare rito che consente loro di acquisire l’indulgenza plenaria, che può essere applicata a chi la celebra o all’anima di un defunto. È una prassi liturgica che si rinnova da secoli; è noto, infatti, che il primo giubileo fu indetto da Papa Bonifacio VIII nell’anno 1300. E tuttavia il concetto d’indulgenza ha un’origine ben più antica essendo fondato nella Sacra Scrittura e in talune prassi ecclesiali del III secolo, nonché in quelle medievali.
Il presente articolo ha l’obiettivo di ricostruire detta origine e i suoi primi sviluppi, sia a livello storico-dottrinale che rituale. Contestualmente emergerà il forte radicamento di detta pratica nella Rivelazione, secondo l’articolata concezione che di quest’ultima ha sviluppato il cattolicesimo. Il che impone di accennare alla posizione protestante in quanto notoriamente ostile alle indulgenze, e dunque di esporre le ragioni di un confronto che dal punto di vista storico-culturale si annuncia come estremamente interessante. Non mancherà una breve sintesi dottrinale di quanto emerso, nonché alcune rapide valutazioni di carattere teoretico e fenomenologico. Ma una sì complessa ricerca richiede spazi e tempi adeguati, seppur condotta solo per lineamenti genericissimi. Pertanto l’articolo si compone di due parti, che verranno pubblicate in successione.
La Rivelazione secondo i cattolici
Anzitutto si chiarisca il suddetto concetto di Rivelazione: nell’universo religioso dei cattolici essa si storicizza secondo tre istanze parallele e complementari ovvero la Sacra Scrittura, la Tradizione e il Magistero. Ebbene, prima d’individuare la genesi dottrinale e rituale dell’indulgenza, occorrerà puntualizzarle e chiarirle quanto basta. Cosa sia la Sacra Scrittura è appena il caso di accennarlo: è la Bibbia, costituita dai quarantasei libri dell’Antico Testamento e dai ventisette del Nuovo. Più complessa è la fisionomia della Tradizione, cos’è? Ovviamente non va confusa con le tradizioni, col folclore, con le usanze locali etc. Piuttosto, un noto teologo del Novecento ossia Karl Rahner l’ha definita come vita della Chiesa: ciò che la Chiesa insegna, predica, celebra, opera etc. O in una parola, per l’appunto ciò che essa vive, è Tradizione, intesa – come suddetto – quale istanza in cui Dio si rivela agli uomini.
Questo è vero soprattutto per la vita della Chiesa antica o dei primi secoli, normativa per quella dei secoli seguenti a motivo della propria vicinanza cronologica all’evento fondativo o meglio, secondo la fede, alla persona del Cristo dalla quale promana. E infine il Magistero, cos’è? Viene distinto in ordinario e straordinario e corrisponde all’insegnamento della Chiesa, riconducibile ai pronunciamenti di Papi e Concili. Bene: la Rivelazione procede da queste tre realtà, dalla Bibbia, dalla Tradizione e dal Magistero; in ciascuna di esse Dio si comunica agli uomini e insieme costituiscono la Rivelazione. Vediamo dunque, in termini inevitabilmente generici, il posizionamento dell’indulgenza plenaria al loro interno.
Nella Bibbia
Essa gode di diversi riferimenti scritturistici benché indiretti; tra questi, il più chiaro e risolutivo è senz’altro Mt 16, 18-20, che concerne il primato di Pietro nel collegio apostolico. Il passo è noto: «E io [Gesù] ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Legare e sciogliere: dunque Pietro, e di conseguenza coloro che storicamente si sono configurati come suoi successori cioè i Papi, possono sciogliere i fedeli dalle pene conseguenti alle colpe. Ed ecco emergere il nucleo fondamentale dell’indulgenza, peraltro in modo piuttosto lineare e consequenziale.
Nella Tradizione
Nella vita della Chiesa, il concetto di remissione delle pene temporali – che farà da fondamento teoretico/dottrinale alla successiva elaborazione della nozione di indulgenza – affiora verso la metà del III secolo nelle comunità cristiane di Roma e di Cartagine, nelle di esse prassi penitenziali. Cosa avvenne presso i cristiani romani e cartaginesi? Nel 250 l’imperatore Decio scatenò una nuova persecuzione e molti abiurarono ovverosia rinnegarono la fede in Cristo; costoro presero il nome di lapsi, vale a dire “gli inciampati”. Attenuatosi il rigore della repressione, gli stessi chiedevano il reinserimento nella comunità dei credenti, processo disciplinato dal vescovo che lo vincolava ad alcuni anni di severa penitenza.
Ma qui intervenivano i confessores ovvero coloro che non avevano abiurato pur patendo la prigionia e la tortura nell’attesa d’una probabile condanna a morte
Ebbene, essi offrivano tali pene per la remissione della penitenza dei lapsi. Il concetto è quello della sofferenza vicaria: gli uni soffrivano a beneficio degli altri, o in altre parole, la virtù dei virtuosi suppliva alla debolezza dei deboli, in questo caso al tradimento dei lapsi; i quali, mediante questa prassi, venivano rapidamente riammessi nella comunione ecclesiale.
Per ragioni di spazio non è possibile approfondire questo importante e delicato processo storico (rimandiamo a Il Vangelo e la storia di Manlio Simonetti, pp. 150-156), ci limitiamo a segnalare che esso interessò le reciproche competenze di vescovi e confessores circa la riammissione dei lapsi, e che si risolse in un felice compromesso ove i vescovi regolavano la medesima e i confessores avevano la facoltà di abbreviare le penitenze da essa presupposte; e artefice di questo delicato equilibrio fu Cipriano vescovo di Cartagine, in accordo prima con Cornelio vescovo di Roma, poi con Lucio successore di Cornelio. Anche sulla grandezza storica ed ecclesiale di Cipriano, sul corpus letterario di cui è autore, e infine sul suo martirio, occorrerebbe sostare alquanto ma, ripetiamo, lo spazio non lo consente (rimandiamo a Introduzione a Cipriano di Maria Veronese).
Il concetto e la prassi, mutatis mutandis, sono documentati anche nei secoli successivi
L’uomo medievale aveva un’acuta percezione dell’ineluttabilità delle pene conseguenti alle colpe: quantunque quest’ultime venissero perdonate mediante la confessione, pure occorreva scontarne le pene corrispondenti, nella vita terrena attraverso la penitenza o in quella ultraterrena vale a dire in purgatorio.
Così, verso la metà del IX secolo, il peccatore si sottoponeva a gravose penitenze, e tuttavia era persuaso di poterle commutare in opere buone, come impegnarsi in attività pastorali, o obbligarsi allo studio della Rivelazione, o elargire denaro per la costruzione di chiese o per opere caritative e sociali – ma anche, alcuni secoli dopo, partecipare alle crociate (rimandiamo alla Storia della chiesa / Epoca medievale di Isnard W. Frank, pp. 21-22). Il concetto presupposto da tale prassi e che da essa emerge è quello già affermatosi a Cartagine, di cui sopra: la penitenza può essere rimessa, commutata/trasformata in opere virtuose – certo, qui manca la dimensione trasversale, solidale, che colmava le manchevolezze dei deboli coi meriti dei forti.
L’insieme di queste esperienze, prassi liturgiche e penitenziali, intuizioni dottrinali etc. perviene a un’ulteriore teorizzazione e conseguente sintesi nella nozione di indulgenza plenaria
Tale configurazione dottrinale avviene nel Tardo Medioevo e precipuamente in quel periodo di altissima speculazione ed elaborazione della fede ad opera della cosiddetta Seconda Scolastica – menzioniamo un teologo tra tutti: il celeberrimo Tommaso d’Aquino, vedi la sua Summa Theologiæ III q. 25. Sostanzialmente, il concetto iniziale di sofferenza/virtù vicaria viene naturalmente esteso a Cristo: infatti, secondo la fede dei cristiani di confessione cattolica, i suoi meriti infiniti costituiscono il tesoro dei credenti, al quale attingere per la remissione delle pene dopo la confessione/perdono dei peccati; ed ecco disegnata l’indulgenza!
Ma torniamo al radicamento dell’indulgenza nella Rivelazione: la Tradizione, o vita della Chiesa con accentuazione per quella antica, è un momento della Rivelazione, come suddetto. Dunque l’indulgenza – in quanto vi emerge sin dal III secolo – è saldamente ancorata in essa.
Nel magistero
I documenti magisteriali riguardanti la dottrina dell’indulgenza e la di lei corretta recezione sono molti, qui ci limiteremo a indicare quelli maggiormente rilevanti: importante per la sua prossimità all’indizione del primo giubileo è la bolla papale Unigenitus Dei Filius, emanata da Papa Clemente VI nel 1343. E importante per l’opportuna opera di attualizzazione/rilettura di una dottrina/pratica sì antica è la costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina, emanata da Papa Paolo VI nel 1967. Quest’ultima puntualizza la nozione di “tesoro della Chiesa”, inteso come l’insieme delle perfezioni di Cristo e dei santi, in virtù del quale ottiene la remissione delle pene temporali il fedele che celebri l’indulgenza.
Ma soprattutto, tale documento pone quest’ultima in una prospettiva più spirituale e meno legalistica, con ciò stesso avvicinandola alla sensibilità dell’uomo contemporaneo. Più specificamente, l’indulgenza viene reinterpretata nell’ottica dell’infinito amore di Dio e nella coerenza o adeguamento delle intenzioni di chi la celebra: il rito non ha un’efficacia puramente meccanica, dunque abbisogna – da parte dell’uomo – delle giuste disposizioni interiori quali un sincero proposito di conversione.
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