La Chiesa si raduna in preghiera per il suo Papa. È un’immagine che dovrebbe essere normale, naturale, quasi ovvia. Mentre la Chiesa si inginocchia, alcuni osservano da lontano. Aspettano, calcolano, valutano. Da anni nutrono dubbi su questo pontificato, da anni coltivano ostilità, da anni lavorano per delegittimarlo. Hanno visto ogni sua difficoltà come un’occasione, ogni sua malattia come un possibile preludio al cambiamento che desiderano. Sono gli sciacalli della Chiesa, coloro che si muovono solo nei momenti di debolezza, pronti a nutrirsi della crisi.
Alcuni hanno un volto pubblico, altri preferiscono il silenzio strategico, altri ancora agiscono nelle retrovie, nei palazzi della Curia, nei corridoi del potere ecclesiastico. Ma ciò che li accomuna è l’idea che questo Papa sia un problema e che la sua fragilità sia una speranza.
Il cristianesimo non è un’ideologia
Il pontificato di Francesco ha portato con sé entusiasmi e resistenze, aperture e tensioni. Ha parlato alla periferia del mondo, ha denunciato il clericalismo, ha cercato di riformare una struttura ecclesiastica che, in alcuni suoi settori, era rimasta ancorata a logiche più politiche che evangeliche. Ma ha trovato davanti a sé una Chiesa non sempre pronta al cambiamento, spesso impaurita dalla sua stessa trasformazione. Da un lato, c’è stato chi lo ha amato in modo strumentale, vedendolo come un simbolo di rottura con la tradizione, un papa che avrebbe finalmente “modernizzato” la Chiesa, abbattendo le sue resistenze dottrinali. Dall’altro, c’è stato chi lo ha combattuto con ostinazione, accusandolo di essere un progressista pericoloso, un rivoluzionario senza radici, un uomo più attento ai gesti che alla dottrina.
La realtà, come sempre, è più complessa. Francesco non è stato né il progressista sognato dai media secolarizzati né il distruttore della Tradizione temuto da alcuni ambienti ecclesiali. È stato un Papa fedele al suo tempo, con i suoi limiti e le sue intuizioni, con le sue sfide e i suoi errori, ma sempre consapevole di una verità che la Chiesa sembra dimenticare troppo spesso: il cristianesimo non è un’ideologia, è un evento, un incontro con Cristo, un cammino fatto di fedeltà, discernimento e carità.
Strategie, ostilità e potere
Gli sciacalli non vedono questo. Loro vedono solo una battaglia di potere.
Tra coloro che hanno trasformato la resistenza a Francesco in una guerra ideologica, vi sono alcuni ambienti del cosiddetto tradizionalismo estremo, che lo hanno visto sin dall’inizio come un usurpatore, come un pontefice da contestare, da smascherare, da combattere. Non si tratta semplicemente di una critica legittima, perché il confronto teologico è sempre stato parte della vita della Chiesa. Qui si tratta di un’opposizione pregiudiziale, che non ha mai cercato di comprendere le sue scelte, ma solo di contrastarle. Ogni parola del Papa è stata letta come un’eresia, ogni gesto come un attacco alla Tradizione, ogni decisione come un segno della sua volontà di distruggere la Chiesa.
Ma dall’altra parte, vi sono stati anche coloro che hanno voluto usare Francesco per i propri scopi, applaudendolo quando sembrava andare nella loro direzione e voltandogli le spalle quando si è rivelato meno malleabile di quanto immaginassero. Lo hanno sostenuto solo quando il suo messaggio coincideva con la loro agenda, ma lo hanno criticato quando ha ribadito che il sacerdozio è riservato agli uomini, che il matrimonio è indissolubile, che la vita umana è sacra dal concepimento alla morte naturale. Lo hanno amato solo quando faceva comodo, non perché fosse il Papa, ma perché sembrava funzionale a un cambiamento che desideravano.
Il Papa risponde con il Vangelo
E poi ci sono gli sciacalli più sottili, quelli che non parlano apertamente, ma operano dietro le quinte. Non hanno mai attaccato Francesco pubblicamente, ma hanno lavorato per ostacolarlo. Hanno boicottato le sue riforme, hanno diffuso il sospetto, hanno lasciato che il veleno della divisione si diffondesse senza mai prendere posizione in modo chiaro. Alcuni lo hanno fatto per interesse personale, perché la sua riforma della Curia ha messo in discussione privilegi consolidati. Altri per calcolo politico, perché sapevano che prima o poi un nuovo Papa sarebbe arrivato e volevano farsi trovare pronti a influenzarne l’elezione.
In questo scenario di tensione e lotta sotterranea, c’è però un dato che sorprende sempre la logica del mondo: il Papa ha risposto con la croce. Non ha risposto agli attacchi con durezza, non ha cercato vendette, non ha alimentato il clima di guerra. Anche ora, mentre la malattia lo costringe in un letto d’ospedale, non risponde con la politica, ma con il Vangelo. Ha telefonato alla parrocchia di Gaza, ha ricevuto l’Eucaristia, ha ripreso il lavoro con la serenità di chi sa che la Chiesa non appartiene agli uomini, ma a Dio.
E mentre in questi giorni la Chiesa si inginocchia per lui, gli sciacalli si trovano spiazzati. Perché la preghiera è più forte del veleno. Perché la fede è più solida di ogni divisione. Perché il cristianesimo non si fonda su strategie ecclesiali, ma su un Dio che entra nella storia e trasforma la debolezza in forza.
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