C’è qualcosa che non va? Accendo la radio e passa questa canzone storica di Vasco Rossi: “C’è qualcuno che non sa, più cos’è un uomo. C’è qualcuno che non ha… Rispetto per nessuno. C’è chi dice no, c’è chi dice no. Io non ci sono”. Che bello, sembra di viverle nella carne queste parole: in Italia sembra di assistere ad un eterno déjà-vu: un premier al potere, una magistratura che avvia un’indagine, un clima di sospetto che si infiamma, e il dibattito pubblico che si polarizza. Stavolta è toccato a Giorgia Meloni, indagata insieme ad alcuni membri del governo per il caso legato al rimpatrio del comandante libico Osama Almasri. Un’accusa pesante, perché coinvolge reati come il favoreggiamento ed il peculato. Ma c’è di più: dietro le aule di tribunale si staglia un nuovo fronte di scontro tra politica e magistratura, un duello che sembra non avere mai fine.
Avviso di garanzia o un attacco politico?
Da una parte c’è il governo, che alza il tiro: Meloni non usa mezzi termini e parla di una magistratura che non la può intimidire, lasciando intendere che questa inchiesta sia una ritorsione per la sua riforma della giustizia. Matteo Salvini, da par suo, parla di vergogna e rilancia sulla necessità di una riforma radicale del sistema giudiziario. La destra vede in questa vicenda un copione già scritto: un governo eletto che cerca di portare avanti il proprio mandato, bloccato da un sistema giudiziario che non risponde al voto popolare ma a dinamiche interne.
Dall’altra parte, la magistratura ribatte: l’iscrizione nel registro degli indagati non è un atto punitivo, ma un passaggio obbligato di garanzia per chi viene coinvolto in certe indagini. L’Associazione Nazionale Magistrati parla di una tempesta in un bicchier d’acqua e denuncia il tentativo di delegittimare il potere giudiziario.
Anche la sinistra, prevedibilmente, interpreta la vicenda in modo opposto: il garantismo di oggi non sembra valere per tutti e, se un’inchiesta riguarda esponenti della destra, ecco che si grida subito al complotto. Due narrazioni speculari e inconciliabili.
Il vero problema: separazione dei poteri o guerra di potere?
La storia italiana è piena di scontri tra politica e magistratura. Da Tangentopoli ai processi a Berlusconi, fino ai casi più recenti, il rapporto tra i due poteri dello Stato non è mai stato pacifico. Ma la domanda che dovremmo porci non è se questa indagine sia giusta o sbagliata, ma se sia il sintomo di un problema più grande: l’eterna incompiutezza della riforma della giustizia in Italia. Perché ogni volta che un politico viene indagato, si grida all’abuso di potere? E perché, al tempo stesso, la magistratura viene spesso percepita come un contropotere che agisce al di sopra della politica? È chiaro che qualcosa non funziona. Se la giustizia deve essere indipendente, allora la politica non dovrebbe avere il potere di condizionarla. Ma se la politica è espressione del voto popolare, ha senso che possa essere messa sotto scacco da inchieste che rischiano di avere un effetto politico devastante?
Una risposta che nessuno darà
Nel solito clima italiano da stadio, con tifoserie contrapposte, la domanda più importante è sempre la meno discussa: chi garantisce che questi equilibri siano sani e non distorti? La magistratura può indagare, ma chi controlla che le sue azioni non abbiano intenti politici? La politica può lamentarsi, ma chi garantisce che non voglia mettere la giustizia sotto il suo controllo? Forse il vero problema è che, a furia di vedere tutto come un braccio di ferro tra poteri, ci dimentichiamo il principio fondamentale: uno Stato non funziona se ogni inchiesta diventa una guerra e se ogni critica a un’indagine viene letta come un attacco alla democrazia.
Se vogliamo risolvere questa impasse, bisogna cambiare prospettiva: serve una riforma vera, non solo un nuovo scontro tra magistrati e politici. E forse, più che una battaglia tra poteri, dovremmo pensare a come ristabilire un patto di fiducia tra Stato e cittadini. Perché, alla fine, chi ci rimette davvero siamo sempre noi.
Leggi anche:
- E adesso l’Europa si desti
- Vera giustizia o giustizialismo politico?
- Oltre ogni presente
- In Ferrari inizia una nuova era: il primo giorno
- Luce nel cammino: non solo una mascotte
1 commento
La solita vecchia storia: tutti colpevoli perché nessuno resterà tale?!
In “primis” la Giustizia è verità, quantomeno agisce in quel verso.
Non sempre la verità processuale coincide con la verità reale: però, ivi, ci si prova!
Il caso Almasri sembra solo pretestuoso. Infatti opera degli 007 che, in quanto apicali, sovente non redigono un rapporto… Quindi di cosa si dibatte: di pareri indistinti e fondati su fazionse ricostruzioni giornalistiche?
Ovverosia, sarebbe solo una cronica “mancanza di argomenti concreti?”