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Neurotech e l’alba del pensiero connesso

DALLE INTERFACCE CERVELLO-MACCHINA ALLA TELEPATIA DIGITALE

da Francesco Rossi
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Le interfacce cervello-macchina (BCI) sono uno dei settori più promettenti della neurotecnologia, con applicazioni che vanno dal miglioramento della qualità della vita per persone con disabilità fino a potenziare le capacità cognitive e fisiche degli individui sani.

Queste tecnologie funzionano traducendo i segnali cerebrali in comandi comprensibili dai dispositivi esterni, permettendo a chi le utilizza di controllare, ad esempio, un cursore su uno schermo, una protesi robotica o addirittura un drone, senza dover muovere un muscolo.

Il principio di base è la lettura dell’attività elettrica nel cervello attraverso sensori impiantati o esterni (non invasivi), che captano i segnali delle sinapsi e li traducono in azioni.

Uno degli esempi più avanzati di BCI è rappresentato da Neuralink, la società fondata da Elon Musk, che sta sviluppando un impianto cerebrale con l’obiettivo ambizioso di creare una simbiosi tra uomo e macchina.

Ne abbiamo già parlato alcuni mesi fa, ma oggi vogliamo ‘tornarci sopra’. La tecnologia potrebbe, in un breve futuro, estendersi agli esseri umani per trattare malattie neurodegenerative, ripristinare funzioni motorie perse e potenzialmente espandere le capacità cognitive.

Un altro esempio di BCI avanzata è quella di Synchron, che ha sviluppato una piattaforma impiantabile per consentire alle persone paralizzate di controllare dispositivi digitali come computer o smartphone.

Il dispositivo, chiamato “Stentrode”, viene impiantato attraverso una procedura minimamente invasiva e ha già superato con successo i primi test clinici sugli esseri umani.

La vera innovazione sta nella non invasività del processo, che permette a persone con gravi lesioni spinali di riacquistare una certa autonomia. 

Ciò dimostra come il confine tra mente e macchina si stia assottigliando

Le implicazioni di queste tecnologie sono enormi, non solo nel campo della medicina, ma anche nella vita quotidiana di milioni di persone.

Telepatia digitale, è sempre pensiero?

La telepatia digitale, ovvero la possibilità di comunicare pensieri direttamente tra cervelli, potrebbe non essere più un concetto relegato alla fantascienza.

In effetti, esperimenti condotti dal neuroscienziato Miguel Nicolelis alla Duke University hanno già dimostrato che due ratti possono scambiare informazioni cerebrali tramite elettrodi impiantati, consentendo di comunicare istantaneamente informazioni motorie.

Questo apre la strada a una nuova forma di interazione umana in cui i pensieri, le emozioni e i comandi potrebbero essere trasmessi senza parole.

Alcuni ricercatori stanno lavorando su sistemi che permetterebbero a persone con limitazioni motorie di scrivere o parlare attraverso dispositivi digitali leggendo i segnali cerebrali e convertendoli in testo o voce.

Un recente esempio è quello di Facebook Reality Labs, che ha annunciato di lavorare su un’interfaccia non invasiva in grado di tradurre i segnali cerebrali in comandi per dispositivi di realtà aumentata (AR), permettendo agli utenti di navigare nel web o interagire con applicazioni semplicemente con il pensiero.

Questo potrebbe essere un elemento fondamentale per lo sviluppo di nuovi tipi di interfacce utente per il metaverso, dove l’interazione senza mani o schermi sarebbe cruciale.

Ci sono molte sfide etiche e tecniche da affrontare ancora, senza paura e con alto senso di responsabilità 

Innanzitutto, l’invasività di alcune delle tecnologie attuali, come gli impianti cerebrali, solleva preoccupazioni riguardo alla privacy mentale. Il fatto che dispositivi esterni possano leggere i pensieri o influenzare le decisioni pone seri dubbi su chi controlla tali tecnologie e come verranno utilizzate.

L’accesso alle informazioni personali o mentali potrebbe essere una delle principali preoccupazioni degli utenti, specialmente se gestite da aziende private. Inoltre, c’è il rischio di disuguaglianze sociali, con tecnologie che potrebbero essere disponibili solo per i più ricchi, creando un divario tra chi può permettersi di migliorare le proprie capacità cognitive e chi no.

Infine, il problema della dipendenza da tali tecnologie non può essere sottovalutato: l’idea di potenziare il cervello umano con dispositivi tecnologici potrebbe creare una dipendenza da queste macchine, portando le persone a non fidarsi più delle proprie capacità cognitive naturali.

Anche se siamo ancora nelle fasi iniziali di queste scoperte, le BCI stanno rapidamente trasformando il modo in cui pensiamo alla comunicazione e all’interazione umana.

Quello che una volta era il regno della fantascienza potrebbe diventare una parte integrante della nostra vita quotidiana nei prossimi decenni, consentendo a chiunque di interagire con il mondo digitale senza mai toccare un dispositivo.

Ma, mentre questa rivoluzione avanza, è essenziale considerare attentamente le implicazioni etiche e sociali che tali tecnologie comportano, assicurandoci che siano utilizzate per il bene comune e non per creare nuove forme di disuguaglianza o oppressione.

Mentre molte discussioni si concentrano sull’interazione tra cervello e macchina, c’è un campo emergente che sta esplorando la comunicazione diretta tra cervelli umani, bypassando il bisogno di un’interfaccia digitale esterna.

Questo concetto, noto come “brain-to-brain interfaces” (BBI), ha già visto i suoi primi esperimenti nel mondo animale, come gli studi condotti alla Duke University che hanno dimostrato come i ratti possano collaborare per risolvere problemi tramite connessioni cerebrali dirette.

Un ulteriore sviluppo di questa tecnologia potrebbe portare alla creazione di reti neurali collettive umane, dove i pensieri e le idee non sarebbero più limitati a singoli individui, ma potrebbero essere condivisi e processati simultaneamente da più persone.

Un aspetto raramente discusso è il potenziale di queste tecnologie nel migliorare il processo decisionale collettivo e la creatività di gruppo. Ad esempio, team di ricerca o di lavoro potrebbero essere collegati in tempo reale per scambiarsi intuizioni e risolvere problemi complessi con una velocità mai vista prima.

Un’idea che potrebbe sembrare lontana, ma che potrebbe diventare una realtà concreta in pochi decenni è quella di un “internet delle menti”, una rete globale che collegherebbe le persone a livello cognitivo.

Questo scenario solleva anche preoccupazioni sulla privacy mentale e sull’uso etico di tali connessioni, portando il dibattito su nuove sfide morali e legali che devono essere affrontate già ora.

La strada è però tracciata, ed è senza ritorno: il futuro della neurotecnologia non si limiterà solo al miglioramento individuale, ma potrebbe trasformare il modo in cui pensiamo e collaboriamo come specie, aprendo nuove strade per una “superintelligenza collettiva” che potrebbe rivoluzionare ogni aspetto della vita umana. 

Ma non illudiamoci: resteranno ancora presenti nel pianeta gli stupidi, gli approfittatori, e quella parte di umanità che non sa rispettare il prossimo. Tecnologia avanzata o no, gli umani resteranno tali. O sarebbe meglio provare un po’ a cambiarli?  

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