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Timeleft: indovina chi viene a cena?

SOCIAL DINNER TRA SCONOSCIUTI ABBINATI DA UN’APP

da Sabina Aversa
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Si chiama Timeleft ed è un’app creata con il proposito di selezionare e far incontrare persone affini, giusto il tempo di una cena, tanto quanto basta per capire se darsela a gambe o rinnovare l’esperienza.

Ogni mercoledì sera alle venti in 300 città in tutto il mondo e, da quest’estate anche in Italia (Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma e Palermo) si svolgono le cene cosiddette dell’amicizia, conviviali incontri di cui a volte non si tengono neanche ricordi. Ma come funziona l’app?


Come funziona Timeleft e perché sta conquistando le città italiane

Basta prenotarsi sul sito e dopo aver compilato un questionario con gusti, professione, e pochi altri dati personali si avrà opportunità grazie ad un algoritmo, di essere inclusi in una tavolata di sole cinque persone in totale, selezionate in base ai dati forniti al momento della registrazione. E, se le app di incontri romantici, di appuntamenti al buio stanno perdendo importanza (ci si sente sempre un po’ tanto sfigati ad incontrare l’anima gemella in codesta circostanza) in realtà, app del genere si stanno diffondendo sempre più nella grande città dove il senso di solitudine diventa elemento imprescindibile della vita metropolitana da trincea.

Bella e maledetta questa vita incasinata tra distanze e ritmi lavorativi senza tregua, bella e maledetta da non respirare pause, ma da non scoraggiare ad ingegnarsi pur di cenare in compagnia, di ricreare atmosfere amicali con chi conosci seduta stante, di chi conosci qualche notizia per gentile concessione dell’app prima dell’orario dell’appuntamento. Giusto per smuovere le acque, per rompere il ghiaccio, prima di accostarsi tutti intorno ad un tavolo come all’inizio di un nuovo gioco di società. E succede quel che succede, ci si scruta, si sorride, si ride a battute improponibili per ricreare quell’atmosfera da set pubblicitario, si cercano sguardi inaspettatamente complici, o sfuggenti o a pupilla dilatata da solitudini raccontate a mezza bocca.


App di incontri vs. connessioni autentiche: il dilemma delle relazioni moderne

Che i commensali siano quasi sempre single è un dato di fatto, e ciò favorisce l’immaginazione di storie d’amore travolgenti, sognate. Il fine è il seguente, come dice il CEO e co-fondatore di Timeleft, Maxime Barbier “crediamo che la connessione umana autentica sia il rimedio più potente contro l’alienazione delle città”. In realtà gli alienati siamo noi presi da un over attenzione per tutto ciò che gli smartphone ci mangiano a pieni morsi. Attenzione è tempo. La connessione umana autentica non viene ricreata dall’algoritmo di un’app.

Gli incontri tra umani sono possibili in mille luoghi di una alienante città, basta avere la voglia di comunicare, di utilizzare il linguaggio, quello a cui siamo sempre meno abituati, quello che trasforma ciò che pensiamo in verbi di cui sbagliamo il congiuntivo, di toni che alziamo senza motivo, di attenzioni che non mettiamo più in pratica. L’approccio diventa vergogna, terrore di rifiuto, paura di ridicolizzazione, incapacità di mettersi in gioco. E invece con un’app tutto questo non accade. Basta partecipare con una modica cifra a una cena, e sperare che la bontà di chi siede al tavolo appartenga non solo all’animo ma anche a graziose fattezze.


E non è tutto, l’assistenza dell’app continua anche mentre si è sulla via del ritorno. 

Impietosa e tempestivamente Timeleft, impicciona come non mai, ti chiede subito un report della serata, se ci sono persone con le quali vorresti essere abbinato in una cena successiva e chi, al contrario, non ha avuto la tua simpatia. Ormai i giochi sono fatti, i numeri di cellulari di chi volevi risentire sono stati memorizzati, stavolta non servirà l’app per rivedere chi si desidera.

È la fragilità umana, la paura di fallire, di essere rifiutato che ha reso alienanti le città, anche nei piccoli centri la paura del pettegolezzo fine a sé stesso ha reso le chat anonimi scudi per desideri e amori inconfessabili. E dire che non abbiamo tempo di vedere gli amici, di fare un saluto per telefono, di organizzare una cena. Però se qualcuno lo fa al posto nostro, muovendoci come pedine in un gioco social allora ci siamo, ci sentiamo cool, trendy, moderni. E pensare che qualche anno prima alla tavolata dell’osteria mischiati con estranei, a mangiare ribollita con la testa nel piatto non ci siamo sentiti così modaioli, ma defraudati di una privacy che ci era utile anche ad assaporare ciò che mangiavamo. Nutrirsi è un atto vitale, quanto abbracciarsi, quanto baciarsi, quanto amare chi è accanto a noi mentre sediamo a tavola.

Conoscere una persona, scegliere di parlarci, sceglierla per qualcosa di cui i nostri occhi hanno sentore, è una magia che nessun algoritmo può sostituire. Per tutto il resto il gioco resta un gioco.

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