Intendiamoci subito su una cosa: Donald Trump e Joe Biden sono la medesima espressione di un preciso modello di società. La persona più a sinistra d’America è Bernie Sanders, che la cosa più di sinistra che ha detto è “Putin è un criminale, ma gli USA non possono continuare a ficcare il naso nelle faccende altrui”.
In moltissimi dopo il discorso d’insediamento sono andati a caccia del titolo stuzzicante: da ora con me saranno solo due i generi, vi restituisco il free speech! Ovviamente tutto vero (vedremo) ma i passaggi chiave del discorso a quella che è stata una vera e propria cerimonia del trionfo, sono stati altri.
Perché il problema dell’alternanza tra Trump e Biden, tra Dem e Repubblicani, tra destra e sinistra, è che certi argomenti vengono totalmente dimenticati da chi deve raccontarli: l’occhiello in prima pagina sui bagni gender soppianta l’economia, il free speech e le braccia tese relegano il discorso sulla guerra all’elzeviro di pagina 4. “Ah, c’è anche la guerra”, è il sottotesto, senza voler essere troppo giornalistici.
Definito com’è che è stato trattato da tanti – non da tutti – il passaggio di consegne di potere nella democrazia più importante del mondo, capiamo cos’è che concretamente può cambiare nel lungo termine con Trump.
Perché sebbene, come detto, Dem e Repubblicani siano la medesima espressione di politiche di liberismo selvaggio e di rapporti asimmetrici nei confronti degli “alleati-colonia”, cambierà il metodo col quale verranno erogate certe politiche aggressive. Se per Joe Biden la guerra non era uno scenario di disturbo, per Trump sembra essere così. Il nuovo presidente lo ha detto più volte e non nasconde tuttora che la soluzione bellica è un intralcio per le sue politiche, il che non è poco visto che – come non smettiamo di ricordare – parliamo di vite risparmiate. Ma occhio a samaritanarizzare il tycoon come tanti sodali di Qanon fanno negli USA: se impazzano le immagini di Trump investito dalla provvidenza, quando non dalla luce divina (e perfino qualcuna con Gesù in persona a guidarlo), divampa anche la paura per i dazi.
L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca ha riacceso i timori di una guerra commerciale tra Stati Uniti ed Europa
Le minacce del presidente americano di imporre dazi sulle importazioni europee gettano un’ombra sull’economia del Vecchio Continente, con possibili ripercussioni su entrambe le sponde dell’Atlantico. Le proposte di Trump, possiamo dirlo tranquillamente, sono aggressive: dazi dal 10% al 20% su tutte le importazioni negli USA, con picchi fino al 60% per la Cina. Gli analisti prevedono un duro colpo per l’economia europea. Si stima che il PIL dell’Eurozona potrebbe contrarsi tra lo 0,5% e l’1,5%, traducendosi in una perdita potenziale di circa 260 miliardi di euro. La Germania, locomotiva economica del continente, rischierebbe un calo del PIL dello 0,3%, seguita dall’Italia con lo 0,23% e dalla Francia con lo 0,17%. I settori più vulnerabili? L’industria automobilistica tedesca e il comparto chimico.
Di fronte a questa minaccia, cosa fa Bruxelles? L’Unione Europea sta valutando una serie di contromisure, tra cui possibili ritorsioni commerciali sui prodotti americani. Si considera un aumento degli acquisti di petrolio e gas dagli USA, in un tentativo di placare le richieste di Trump. Parallelamente, l’UE punta a rafforzare la cooperazione interna e a diversificare i propri partner commerciali.
Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea, ha lanciato un monito: i paesi UE devono prepararsi a “trattative dure”. La sua proposta? Considerare di “comprare americano” per scongiurare una guerra commerciale aperta.
Uno scenario horror per le casse europee, che certamente anche Giorgia Meloni dovrebbe tener ben presente quando va a fare la foto col nuovo presidente. Veniamo però alle responsabilità, e quelle sono presenti nella bocca di pochi.
La sfida di Trump? Riallontanare l’effetto Biden su Russia e Cina
Le responsabilità quando non le colpe di decisioni precedenti all’arrivo di Trump: la scelta di sanzioni che non hanno avuto alcun impatto sull’economia russa, il che ci porterà a comprare gas americano (di pessima qualità) a prezzo maggiorato, le politiche green di cui ormai l’UE resta l’ultimo giapponese quasi ignorando che per salvare il mondo serve dire alla Cina di decarbonizzare – e non succederà – la martirizzazione di una Germania assolutamente vedova delle sanzioni a Putin. Perché ci riguarda da vicino? Perché l’economia italiana è legata a doppio filo a quella tedesca: il risultato di voler prendere a sassate l’orso bruno, finendo a gambizzarsi da soli. La bestia si è girata verso la Cina, e ora sarà questa la vera sfida di Trump: separare l’orso dal dragone dopo che Biden gli ha preparato un servizio da thè per fare amicizia.
Non sappiamo se sarà l’età dell’oro, sarà di certo l’epoca in cui c’è da pensare a loro.
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